Malcom Pagani, Fatto quotidiano 11/5/2012, 11 maggio 2012
BONCO FA 80 ANNI! - “CON AMBRA NACQUE UNA FENOMENOLOGIA DEL CAZZO, MA LEI FU BRAVA. LE RISERVAVO NELLE ORECCHIE BATTUTACCE OSCENE E LEI NON PERDEVA UN COLPO. POI SI LAMENTAVA, MA ERA TROPPO TARDI - I RAGAZZI SON DESTINATI A RINCOGLIONIRSI. LI FREQUENTO E LI TROVO INDIETRO. NON VANNO MAI DA NESSUNA PARTE, FIGLIANO, SI ANNOIANO, SI TRADISCONO, VANNO A IBIZA IN VACANZA. DOVREBBERO ISTITUIRE UNA LEGGE: “VIETATO ANDARE A IBIZA SALVO PERMESSI SPECIALI PER MALATTIE INCURABILI”. LUOGO TERRIFICANTE”…
Ottant’anni. Libertà. Vestirsi in tuta, vivere in ciabatte, uscire per vedere sul volto degli altri il riflesso di uno scherzo. "Il mio mantra è presto e male". Sono sempre stato pigrissimo, ma al gioco non ho rinunciato mai. Ideiamo burle delinquenziali, le studiamo e le mettiamo in atto". Gianni Boncompagni aspetta il tempo nella vasca a nord di Roma nella quale si rifugiò al principio dei ’60. Vetrate ampie, terrazze, luce che filtra e riempie il pomeriggio. San Pietro all’orizzonte, miniature di madonne alternate a dischi, quadri, fotografie. Più profano che sacro. Più gaudio che penitenza. Per una gag, Boncompagni si farebbe prete.
L’ultima, Gianni?
Pazzesca. Io e un mio amico toscano siamo andati in via della Conciliazione.
Visita pastorale?
Quasi. Negozio di arredi sacri gestito da filippini obbedienti, buoni, cattolici e timorati. "Buongiorno, siamo due sacrestani, il nostro parroco ha 98 anni e un’inspiegabile ossessione per il crocifisso. Vorrebbe portarlo sempre, ma ne cerca uno molto leggero".
Vi hanno arrestati?
Ci hanno lasciato parlare mostrandoci orribili crocifissi di tutte le fogge. A un certo punto decidiamo di variare: "Avreste un ostensorio?". Ce ne portano alcuni davvero mostruosi. In plastica. Io fingo un malore: "No, no, no, no". Mi siedo, chiedo un bicchier d’acqua, altero la voce.
Nessuna vergogna?
Ora arriva il bello. Mi riprendo e ricomincio: "Avete ostie? Sa, il nostro fornitore è di Ostia, lì c’è il mare e ai fedeli arrivano umide".
Boncompagni qui c’è la scomunica.
Il venditore non capisce la battuta allora, deluso, decido di esagerare. "L’altro giorno un anziano ne ha inghiottite 10 tutte assieme". Simulo uno strozzamento, ricomincio a urlare, esco sulla strada. Ci siamo dileguati in due minuti.
Sembra il copione di Amici miei.
Siamo toscani. Gli schiaffi ai passeggeri del treno non li ho dimenticati. Ho viaggiato anche io, sa?
In Svezia, a 18 anni.
Fuga da Arezzo. Dove, non scherzo, non c’erano neanche i segnali stradali e in cucina, illuminava una lampadina da 2 watt. In Svezia feci la fame. Entravamo nei supermercati, il mio complice distraeva la cassiera e io mi appoggiavo al banco della margarina. Dieci secondi e divoravo un panetto.
Pure ladro?
Per necessità. La svolta arrivò con i giornali. Mi facevo inviare piccole storie di grandi scrittori pubblicate dalla Domenica del Corriere, le traducevo e le presentavo come fossero mie.
E le davano retta?
Certo. C’era una cavallona simpatica che faceva da tramite: "Al direttore le tue storie piacciono molto". Così, ben pagato, tirai avanti un paio d’anni. Fino a quando al direttore, il plagio delle novelle non piacque più.
E lei?
Rimasi di merda. L’ultima l’avevo copiata da Agatha Cristhie. Provai a dirlo, ottenendo la stessa indifferenza.
In Svezia fece anche l’autista.
Scorrazzai Salvatore Quasimodo per quattro giorni. Botticella non c’era e il poeta si annoiava molto. Una mattina si rivolse a me e a Schiavo, un fotografo che mi accompagnava: "Ma qua non si fotte mai?".
Lo accontentaste?
Ridemmo, ma lo placammo. "Maestro, non dica così. Qui di certe cose non si parla, venga a vedere i fiordi".
Lei si sposò e fece tre figlie.
Ragazzo padre e in un secondo momento, genitore separato con responsabilità. Eravamo già a Roma. Mia moglie scappò con un altro, io ebbi l’affidamento delle bambine.
Caos?
Relativo. Ci siamo sempre divertiti. Io, Arbore, Raffaella Carrà. Alla fine, se mi guardo indietro, rivedo un simpatico cazzone. A Roma io e Marenco, uno sbarellato di genio, andavamo dalle turiste svedesi.
A concupirle?
No, a giocare. Approcciavamo in un inglese improbabile: aiuork in banc, aiem a cascier. Poi salivamo di tono e dialogavamo come dite in svedese ai loviu?.
E quelle?
Rispondevano. La mia idea era inventare frasi assurde, farle ripetere nella loro lingua, veder crescere lo stupore e poi iniziare a ripetere i concetti in perfetto svedese. Costruzioni come: "Il mio cane morde sempre una scacchiera bianca e rossa". Volevo durasse ore, Marenco si stancava quasi subito.
Lo svedese le servì.
Quando usciva un film di Bergman mi chiamavano per adattare i dialoghi. Dialogavo con il suo tramite. Gustav Molander. Uno che godeva della fama di Omero. Gli telefonavo: "Questa frase del sommo vate - il cielo è come Orlando - io non la capisco". Lui avvertiva Bergman e la risposta era sempre la stessa: "Il maestro dice che va benissimo così. Traduca. Non interpreti. Non osi".
Poi venne la radio.
Alto gradimento. Gioia pura. Nella prima puntata mi lanciai. Elenco delle parole disdicevoli, vietate.
Esempi?
Membro, divorzio, sudore, peli. Non mi cacciarono e continuammo sfregando l’ironia fino alla consunzione.
Scrisse anche canzoni.
Tante. Con Il mondo di Jimmy Fontana, 20 milioni netti di lire, comprai la prima casa. Ma non sono mai stato venale. Mi pagavano bene e non mi sembrava di faticare.
Lei ha fatto molta tv.
Pochi soldi, ottimi ascolti. Decine di programmi.
Freccero dice che la Rai di fine anni 70 produceva cose orribili.
Ha ragione. Carlo ce l’ha quasi sempre. Robaccia, come il 90 per cento delle puttanate che vengono trasmesse.
Però le ha fatte.
Gliel’ho detto, mi divertivo. Evadevo. Sperimentavo.
Oggi?
Non me ne importa più niente. La Rai è in preda al caos. Al vuoto. E quell’epoca è finita per sempre. Mi sono rimasti gli amici. In ogni caso ho un sogno.
Quale Boncompagni?
L’istituzione di una Guantanamo per la tv. Io nelle vesti di capo unico e indiscusso e i penitenti, colpevoli di inventare programmi orrendi, in grisaglia arancione. Pene corporali ci vorrebbero, altroché, in questo stagno di raccomandati.
Boncompagni e Arbore negli studi di RadioBoncompagni e Arbore negli studi di Radio
Il format è morto?
Mi ripugna la sola parola. Un po’ come la Maremma.
Che c’entra la Maremma.
Ho una casa, la comprai decenni fa, non ci vado mai. Una cupezza. Una malinconia che non le so dire.
Lei è stato sempre duro con i giovani.
Quando scoprii che le mie figlie davano del tu al preside del loro Liceo persi la testa. E che cazzo. C’è un limite a tutto.
Severo.
I ragazzi son destinati a rincoglionirsi. Li frequento e li trovo indietro. Non vanno mai da nessuna parte, figliano, si annoiano, si tradiscono, vanno a Ibiza in vacanza. Dovrebbero istituire una legge: "Vietato andare a Ibiza salvo permessi speciali per malattie incurabili". Luogo terrificante.
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L’auricolare di Ambra, era voluta provocazione?
No. Fu un lampo. Lei parlava con le mie parole. Nacque una fenomenologia del cazzo, ma lei fu brava. Le riservavo nelle orecchie battutacce oscene e lei non perdeva un colpo. Poi si lamentava, ma era troppo tardi.
Non è la Rai.
Le ragazze erano bellissime, capolavori. Ma il clima non era mignottesco. Irene Ghergo recitava da kapò. Se vedeva una punta di rossetto espelleva la figurante. Un giorno negli studi arrivarono centomila persone. I manifesti sparsi ovunque, lo zio Sam con il volto di Ambra: "I want you". Un delirio.
Inventato da Gianni il comunista.
Con Raffaella Carrà andavamo a festeggiare sotto Botteghe oscure. Sempre votato Pci, da posizioni laiche.
Il futuro?
Ho comprato un’abitazione a Porta di Roma. Da lì vedo la città. Scendo e ho il supermercato. L’ideale per la mia pigrizia.
Non si nasconda, Gianni.
A 80 anni? Sa cosa penso quando rifletto sull’età?
Cosa?
Che non me ne frega niente. Cammino un po’ storto. Non ho più 70 anni. E allora?