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 2012  maggio 10 Giovedì calendario

LA MINACCIA DELLA BANCAROTTA


L´Europa mette gli aiuti alla Grecia nel contagocce. E manda ad Atene un messaggio chiaro e minaccioso, che suona anche come un avvertimento al neopresidente Hollande: non esistono «piani B». Non c´è alternativa al rispetto degli impegni di rigore che sono stati presi, se non la totale bancarotta del Paese e l´uscita dall´euro. Il versamento anche di un solo centesimo dei 130 miliardi di crediti a disposizione dipenderà dall´esistenza di un governo greco stabile e determinato a rispettare la tabella di marcia del risanamento concordata con Bruxelles. Ieri a Lussemburgo si è tenuta una riunione molto tesa del board dell´EFSF, il fondo salva stati che avrebbe dovuto sbloccare una tranche di 5,2 miliardi di euro destinata ad Atene.
L´esborso di questa cifra era già stato deciso in precedenza dai ministri dell´Eurogruppo, e questo aveva spinto il portavoce della Commissione a dire che il versamento sarebbe avvenuto senza problemi. Ma aveva ragione il consigliere economico del governo greco uscente, Ghikas Hardouvelis, a dire che «la questione del versamento o meno è ancora in forse». Nelle capitali, infatti, e soprattutto nelle capitali dei Paesi che ancora dispongono di una tripla A, stava prevalendo l´idea di rinviare il pagamento e rimettere una nuova decisione ai ministri dell´eurogruppo che si riuniranno lunedì prossimo.
Nessuno, in realtà, metteva in discussione il versamento di una cifra già concordata, tutto sommato modesta, e che aveva già avuto il via libera dei governi. Ma tra i «falchi» del rigore, in particolare a Berlino e a Helsinki, girava una gran voglia di mandare un messaggio forte ai politici greci impegnati nell´ardua impresa di formare un governo: o il Parlamento di Atene riesce a trovare una maggioranza favorevole a rispettare gli impegni sottoscritti (che al momento non c´è), oppure il prestito salta e il Paese va direttamente in bancarotta.
Poi, grazie anche alla mediazione della Commissione e della Francia, il buonsenso ha prevalso. Anche perché molti hanno fatto notare che, visto l´esito delle elezioni greche, non si può escludere la possibilità che il Paese debba tornare alle urne. E mandare un diktat troppo forte avrebbe potuto avere un effetto controproducente, spingendo gli elettori a rinnegare in modo ancora più deciso gli impegni assunti con l´Europa.
Anche così, però, non si è riusciti a togliere dalla testa dei tedeschi la necessità di mandare comunque un avvertimento, non solo verbale ma in termini ben più concreti. E dunque la soluzione che è passata è stata quella di sbloccare crediti per soli 4,2 miliardi, evitando la bancarotta immediata, e di tenere un miliardo in riserva, come una simbolica spada di Damocle sulla testa del Parlamento di Atene. La spiegazione formale che è stata data è che di quel miliardo «non c´è necessità immediata» fino a giugno. E dunque, almeno per ora, l´Europa se lo tiene stretto.

La verità è che il risultato delle elezioni in Grecia, la batosta subita dai socialisti e da Nea Democratia che avevano sottoscritto il patto con l´Europa, e la scomparsa del terzo partito di destra, il Laos, che aveva sostenuto il governo tecnico di Papademos, non sono stati letti a Berlino come un avvertimento, ma come un affronto. E una campagna elettorale condotta dai partiti anti - Europa all´insegna di slogan che paragonavano la Merkel agli occupanti nazisti, non ha certo ben disposto i tedeschi che si vedono invece come i salvatori della Grecia. «Tocca ai greci decidere se restare o meno nell´eurozona, e se la Grecia decide di non restarvi, non possiamo forzarla», ha dichiarato il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schauble. Ancora più duro il suo collega lussemburghese, Asselborn: «dobbiamo dire al popolo greco che la situazione è seria, e che nessun paese potrà sbloccare neppure una minima parte dei 130 miliardi che abbiamo messo a disposizione se non ci sarà un governo in grado di funzionare, che rispetti gli impegni e che gestisca il denaro».
Tra le capitali europee, sta prevalendo l´idea che occorre far capire ai greci che il mancato rispetto degli accordi presi con l´Europa in cambio dei finanziamenti non significa per loro un allentamento del rigore, ma semplicemente la bancarotta dello Stato, l´uscita dall´euro e una serie di tagli e di sacrifici molto più duri di quelli concordati. Dopo aver cercato senza successo di spiegarlo con le buone, ora sono pronti a farlo capire con le maniere dure, se necessario.
Superata la tensione della riunione di ieri, il momento della verità verrà a giugno, quando Atene e Bruxelles dovranno negoziare una tranche di finanziamenti per 23 miliardi, necessari a ricapitalizzare le banche greche, e una da 8 miliardi indispensabile per consentire alla Grecia di pagare gli interessi sul debito. Al momento nessuno, in Europa, è in grado di capire quale governo greco si troveranno di fronte. Ma pochi sono disposti a mostrare margini di tolleranza. L´ipotesi di nuove elezioni, in fondo, che manterrebbe in vita il governo tecnico di Papademos, potrebbe non essere vista come la soluzione peggiore, soprattutto se riportasse al potere i partiti filo-europei. Nelle capitali ci si prepara anche alla eventualità che Atene possa dire addio all´euro. E c´è magari anche qualcuno che pensa a come i 130 miliardi destinati alla Grecia potrebbero essere utilizzati per stimolare la ripresa economica nell´Europa che resiste aggrappata alla moneta unica.