Sabina Rodi, ItaliaOggi 9/5/2012, 9 maggio 2012
L’Unità, il restyling non fa la differenza – L’Unità per cercare di risalire la china di una vistosa e sinora inarrestabile emorragia di copie vendute in edicola (-17%, poco sopra le 40 mila copie, secondo l’ultima rilevazione Ads) tenta la solita carta del restyling
L’Unità, il restyling non fa la differenza – L’Unità per cercare di risalire la china di una vistosa e sinora inarrestabile emorragia di copie vendute in edicola (-17%, poco sopra le 40 mila copie, secondo l’ultima rilevazione Ads) tenta la solita carta del restyling. È un meccanismo pavloviano che scatta presso tutti gli editori, specie in quelli italiani. Un giornale è in crisi di vendite? Gli si cambia la grafica. L’Unità addirittura ha voluto fare di più perché ha cambiato anche il formato, abbandonando il tabloid (che era stata l’unica scelta veramente intelligente fatta dal precedente direttore, Concita de Gregorio) per riallargarsi, adottando il modello berliner che, per intenderci, era stato adottato da La Stampa di Torino. Che è, per dirla tutta, un modello «né carne né pesce». Un modello democristiano che non a caso era il partito che, fra il «sì» e il «no», propendeva sempre per il «nì». In tal modo, era esonerato dall’onere di scegliere. E infatti si vede dove è andato a finire. In tutto il mondo, il formato di successo è il tabloid. Tant’è che è stato adottato (con ottimi risultati, in questi ultimi anni) anche da giornali prestigiosi che, in vita loro, erano sempre stati broadsheet cioè di largo formato come il The Times in Uk e il Wall Street Journal in Usa. Il tabloid infatti è un formato più friendly, più diretto, più facile da consultare. In esso, in ogni pagina, c’è un solo argomento rilevante. In tal modo, il lettore, che è sempre frettoloso, può subito decidere, in un batter d’occhio, se deve leggerlo o può saltarlo. Inoltre il formato tabloid contrasta con le articolesse che infatti sono ritornate ad essere più numerose, nel formato attuale de l’Unità. In aggiunta alla crisi che riguarda tutta la carta stampata, la crisi dell’Unità, non deriva dal suo formato o dalla sua grafica ma dal fatto che, in concreto, è un organo di partito. Chi lo legge, capisce che i margini di manovra de l’Unità sono necessariamente ridotti, in un momento in cui il lettorato è sempre più mobile e scettico. E sempre meno ideologico e fideista. Perché, per esempio, il Fatto quotidiano, pur presentandosi nelle edicole senza la corazza dei contributi pubblici, e quindi avendo molti meno mezzi a disposizione, ha più successo de l’Unità? Perché, pur essendo un quotidiano di sinistra, è anche allo stato brado, sia pure dentro il recinto della sinistra. Il Fatto non deve chiedere autorizzazioni per trovare la vena giusta, quella che più gratifica il suo lettore e che, oggi, non resta mai sempre la stessa. Non a caso Il Fatto era andato indubitabilmente in crisi di argomenti (e di copie) con la rinuncia a Palazzo Chigi da parte del suo antagonista d’elezione, Silvio Berlusconi. Come tutti coloro che sono in mancanza di ossigeno, anche il Fatto ha sbarrato gli occhi e, per qualche tempo, ha ansimato come un pesce finito sulla spiaggia. Ogni giorno Marco Travaglio (che è la firma che costituisce il 50% delle motivazioni di acquisto del giornale) ricicciava sempre più stancamente il suo vecchio copione, tirando colpi su un pungiball con la faccia dell’uomo di Arcore. Poi, fortunatamente, gli sono capitati a tiro i casi Lusi e Belsito e quindi si è riscatenato, al meglio delle sue forze. Ma, anche queste vicende, dopo qualche settimana, diventano noiose. Lusi, per quanto lo si sopravvaluti, non è all’altezza di B. E Belsito è ancora più in basso. Del Trota non parliamo, una macchietta. Sempre per fortuna di Travaglio e del Fatto è scoppiato il caso Grillo. Sul movimento 5 stelle, il Fatto si è gettato a pesce, ritornando subito sulla cresta dell’onda. L’Unità avrebbe potuto cavalcare, supportare e sostenere il «grande demagogo» ligure? No, evidentemente. Non perché il suo bravo direttore, Claudio Sardo, non abbia capito che Beppe Grillo avrebbe fatto sfracelli (e molti ancora ne farà) ma perché «il quotidiano fondato da Antonio Gramsci» e peraltro ancora posseduto, di fatto, dal Pd, non può sterzare come vuole alla ricerca dei refoli più utili per guadagnare copie in edicola. Se il Fatto ha successo e l’Unità no, non è quindi un problema di grafica ma di libertà di manovra. È sintomatico, per esempio, a questo riguardo che, in questi ultimi mesi, il Giornale, che è di proprietà del fratello di Berlusconi, perda molte più copie di Libero. Quest’ultimo infatti, pur essendo anch’esso di centrodestra, gode di una maggior libertà di manovra, almeno stilistica e lessicale ma, spesso, anche di sostanza. È di centrodestra ma non berlusconiano. Così come il Fatto è di sinistra ma non bersaniano. E il pubblico opinionistico, anche se schierato, queste differenze le avverte. E di queste differenze si nutre. Il successo in edicola non è quindi una questione di grafica, né di formato, ma di contenuti. E, in ogni caso, a parità di contenuti, vince, oggi, il formato tabloid perché è il più moderno e il più vicino al linguaggio multimediale.