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 2012  maggio 10 Giovedì calendario

Il Cevenini amava troppo la gente – Era l’altra faccia della politica. Quella non arrogante, senza insulti, dialogante

Il Cevenini amava troppo la gente – Era l’altra faccia della politica. Quella non arrogante, senza insulti, dialogante. Ma anche quella che sta in mezzo alla gente, sale in autobus, pedala sulla bicicletta nelle strade del centro, si ferma a parlare con la gente. Era l’altra faccia del calcio. Quella che tifa ma rifiuta la violenza, che cerca di aggregare e non di dividere, che riconosce il valore degli avversari, che rabbrividisce quando si scopre la corruzione delle scommesse. Era il sindaco morale di Bologna, già mezzo seduto sulla poltrona di primo cittadino quando ha dovuto rinunciare. Era Maurizio Cevenini, il Cev, popolarissimo anche per una singolare scelta, quella di celebrare matrimoni. Gli altri assessori sbuffavano per quel tempo perso, lui ne aveva fatto un vanto ed era arrivato al traguardo dei 4 mila, un record che rimarrà suo anche in futuro, pure se lui non c’è più. Si è buttato da una finestra della Regione, il corpo è stato trovato sette piani sotto da una guardia giurata nel mattutino giro di perlustrazione. E la sua città è ancora incredula. Solo adesso scopre che, dietro quel sorriso, c’era la spossatezza di chi si era stancato di combattere, contro una malattia che non voleva lasciarlo, contro la politica che lo snobbava per questo suo modo di fare a contatto con la gente anziché nelle stanze dei poteri forti, contro la sorte che lo aveva catapultato al top e poi lo aveva disarcionato. Ai funerali ci sarà tutta Bologna e non solo. La città si appresta a vivere un’altra giornata di lacrime, dopo quella delle esequie di Lucio Dalla. Non a caso, i due erano molto amici e, allo stadio, sedevano vicini. Dalla era uno dei suoi grandi elettori quando nel 2010 aveva incominciato, con le primarie, la corsa verso il Comune. Poi, una mattina, ci fu il ricovero improvviso in clinica e una diagnosi complicata: un attacco ischemico e acqua nei muscoli, bisognava toglierla con cautela, riequilibrare l’intero organismo, non sottoporsi ad alcuno stress e preventivare una lunga convalescenza. Addio elezioni. Scrisse una lettera aperta ai bolognesi: «La mia corsa si ferma qui”. Doveva archiviare la sua grande passione: la politica. Sì, gli vennero dati un seggio in Regione e uno in Comune. Ma lui sentiva che erano premi di consolazione. Per di più corrisposti da un Pd al quale lui era tenacemente legato ma che lo aveva in più occasioni boicottato, privilegiando i professionisti della politica a un naif su cui però piovevano abbondanti le preferenze (19 mila, il più votato al consiglio regionale). Quella mattina del ricovero svanì il suo sogno, di diventare un sindaco capace di incarnare il meglio dei suoi migliori predecessori: la semplicità popolare di Giuseppe Dozza, il piglio propositivo di Guido Fanti, la visione strategica di Renato Zangheri. Pensava di avere la missione di fare dimenticare le due pagine buie della sinistra bolognese, quella del sindaco Sergio Cofferati e quella del suo successore Flavio Delbono. Invece in clinica arrivò una brusca virata e poi giunse la depressione. Lui che viveva nella città e per la città si vedeva sempre meno, dimagrito, silenzioso, ma sorridente. Cevenini aveva 58 anni, era figlio di un barbiere, lascia la moglie e una figlia, 28 anni, fisioterapista. «Chiedo scusa a mia moglie e mia figlia. Pensate a loro», ha scritto su uno dei biglietti che ha lasciato sulla scrivania. Ha partecipato alla seduta del consiglio regionale, poi si è chiuso nel suo ufficio e vi è stato a lungo, infine ha aperto la finestra. L’ultimo a parlare con lui è stato un giornalista sportivo: gli ha telefonato alle 21,15 perché era atteso a una festa dei tifosi del Bologna: «Arrivo tra un quarto d’ora», ha assicurato. Lo hanno aspettato fino alle 22,30 e quando hanno provato a ritelefonargli non ha più risposto. Regione, Comune e Provincia hanno esposto le bandiere a lutto. I leader politici in qualche modo legati a Bologna (Prodi, Bersani, Casini, Fini_) sono stati i primi a esprimere le condoglianze. Il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, lo aveva conosciuto durate il periodo in cui ella fu commissario (dopo il sexygate che travolse Delbono): «Un galantuomo che dell’impegno civico e del rapporto con gli altri aveva fatto una ragione di vita da praticare tutti i giorni come privato cittadino e come politico». Mentre il sindaco Virginio Merola dice: «Era una persona tanto popolare e tanto amata eppure soffriva di una solitudine che nessuno aveva saputo cogliere». Aggiunge «nessun problema politico dietro il suo gesto». Rimane il fatto che il Cev si sentiva politicamente emarginato e incapace di reagire come invece aveva fatto altre volte. La sua pagina Facebook è stracolma di messaggi. Lui aveva scritto l’ultimo proprio dopo quel consiglio regionale, dedicato all’amico scrittore Stefano Tassinari, deceduto a Bologna dopo cinque anni di malattia: «Ho conosciuto» ha scritto Cevenini nel suo ultimo gesto sulla tastiera del computer, lui che aveva scoperto la rete assai prima di Beppe Grillo, «pochissimi uomini tenaci come Stefano. E ancora meno in grado di convivere senza mai arrendersi con una malattia lenta e inesorabile come la sua. Poco più di un anno fa ho avuto il piacere di sposare Stefano e Stefania. E oggi, in una giornata così triste, ripenso a quel giorno con ancora più emozione. Ciao Stefano, ci mancherai tantissimo». Adesso, a mancare, è anche il Cev.