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 2012  maggio 10 Giovedì calendario

Salta l’intreccio rosso tra affari e potere Pd - La città si arrende. Siena rinun­cia al ruolo, unico, di raccordo tra politica e finanza che svolge da qua­rant’anni intorno al­rapporto privi­legiato tra l’ex Pci e il Monte dei Pa­schi

Salta l’intreccio rosso tra affari e potere Pd - La città si arrende. Siena rinun­cia al ruolo, unico, di raccordo tra politica e finanza che svolge da qua­rant’anni intorno al­rapporto privi­legiato tra l’ex Pci e il Monte dei Pa­schi. Non una banca qualunque, bensì la più antica del mondo, terzo gruppo creditizio in Italia. Che con Giuseppe Mussari, l’ex presidente divenuto capo dell’Abi,si era evolu­to in un crocevia di poteri forti ben diversificati: da Caltagirone a Guz­zetti, da Mediobanca a Tremonti. Il segnale finale della resa arriva con l’inchiesta aperta sull’acquisi­zione dell’Antonveneta del 2008, coordinata dalla Procura della Re­pubblica di Siena, che ha portato la Guardia di Finanza a perquisire la banca e le abitazioni di dirigenti, tra cui Mussari. Il fatto che i pm siano proprio quelli senesi è importante: indicalapresadidistanzadellama­gis­tratura locale dal sistema di pote­re, costruito negli anni, di cui essa stessa è giocoforza parte integran­te. Ma che non regge più, non ha più coperture. Liberi tutti, nel dispe­rato tentativo di salvare il salvabile. L’operazioneAntonvenetaècost­a­ta a Mps 10 miliardi. E quando è sta­ta annunciata, nel novembre 2007, la banca ne capitalizzava 12,6: per procedere ha dovuto prosciugare il proprio free capital ed effettuare un aumento di capitale di 5 miliardi. Qualche tempo dopo, nel settem­bre 2008, falliva Lehman Brothers, iniziava la crisi e l’operazione An­tonveneta, che già era apparsa ca­ra, si rivelava letale, divorandosi il capitale della banca e il patrimonio della Fondazione Mps, che ne dete­neva la maggioranza assoluta. A nulla sono valsi i Tremonti bond, un successivo aumento di capitale da 2 miliardi e la recente discesa del­la Fondazione sotto il 50%: il risulta­to è stato il corto circuito del siste­ma di potere. Lo schema era sempli­ce: la politica, attraverso gli enti lo­cali, Comune e Provincia su tutti, controlla la Fondazione. Che a sua volta controlla la banca. Che a sua volta restituisce alla Fondazione, sotto forma di dividendi, le risorse che a questa servono per finanziare il territorio degli elettori. Mentre per la banca dispensa assunzioni importanti. E il cerchio si chiude. La colorazione storicamente «ros­sa » delle giunte toscane rendeva la banca «vicina» al Pci (poi Ds, oggi Pd). Qualcuno parla addirittura di cassaforte del par­tito comunista: non è corretto, dal momento che Mps ha sempre finanziato tutti, essendo anche una delleprincipalibanche, perdi­re, che più ha lavorato con la Finin­vest. Ma certo con comunisti ed ex c’è sempre stato un feeling partico­lare. Ed era questo che rendeva Sie­na molto vicina a Roma, anche at­traverso epici scontri di potere ma­turati all’interno del Pci, dei Ds (da­lemiani e veltroniani si sono scan­nati a più riprese intorno a Fonda­zione e Mps) e del Pd (l’ultimo duel­lo è stat­o tra cattolici ed ex comuni­sti sulla successione a Mussari). Sa­rebbe però riduttivo ed errato fer­marsi qui. Siena ha fatto sistema, in­torno alla sua banca, con una rete trasversale che abbracciava tutto: politica, magistratura, università, chiesa, massoneria. E chi si mette­va di traverso pagava dazio, come è appena capitato al direttore della Nazione , Mauro Tedeschini, rimosso per aver pubblicato articoli sgraditi su Mps. Laresacorri­sponde alla fine di questo sistema. Non a caso è arriva­to Alessandro Pro­fumo, ben gradito a Bersani ( nella foto ), al po­sto di Mussari, con il compito di ricostruire il patrimonio trovan­do nuovi capitali, questa volta fuori dalla Fondazione e dunque dalla cittàstessa, chevienelasciataanda­re. Lanciando così un messaggio chiaro: il Monte del futuro non sarà più nelle mani del potere della città, che ha abdicato. Ma del mercato. E, naturalmente, di chi in questo si sa­prà muovere meglio degli altri.