il Giornale 10/5/2012, 10 maggio 2012
La Finanza al Monte dei Paschi Perquisita la sede, quattro indagati - Un salasso da nove miliardi di euro
La Finanza al Monte dei Paschi Perquisita la sede, quattro indagati - Un salasso da nove miliardi di euro. Tanti. Troppi per giustificare l’acquisizione di un boccone pur prelibato come Antonveneta. Come mai il Monte dei Paschi si svenò per portare a termine quell’operazione nel 2007? E che cosa è successo negli anni successivi? Domande che da sempre frullano nella testa dei piccoli azionisti del colosso senese, il terzo istituto di credito italiano, dei sindacati e di molti osservatori. Ora quei quesiti sono al centro dell’inchiesta che la procura di Siena ha portato allo scoperto ieri mattina con una raffica di perquisizioni in mezza Italia. Un battaglione di finanzieri147 militari - ha bussato contemporaneamente al portone di Rocca Salimbeni, sede del Monte, a Palazzo Sansedoni, quartier generale della Fondazione, al Comune e alla Provincia, da sempre gestiti da giunte di sinistra, nelle case e negli uffici di alcuni alti dirigenti del Monte e della Fondazione. Dall’ex presidente della banca Giuseppe Mussari all’ex dg Antonio Vigni. Come se non bastasse, dopo aver violato il tempio della finanza rossa, i segugi delle Fiamme gialle hanno visitato alcuni celebri indirizzi della finanza tricolore e internazionale. Sono andati a Mediobanca, al Credit Suisse, a Deutsche Bank, e naturalmente ad Antonveneta, con blitz mirati fra Milano, Roma, Padova, Mantova,Firenze.Ilblitz ha pesato sull’andamento in Borsa (- 7%). Si torna così al peccato originale, quello che pesa come un macigno su tutta questa storia. Nel 2007 è il Banco Santander a mettere in pancia la banca veneta. Il prezzo è di 6,6 miliardi di euro. Dopo solo due mesi gli spagnoli vendono, ma quel che è più sorprendente è il prezzo astronomico che riescono a fissare: 9,3 miliardi di euro. Nove miliardi che il Monte dei Paschi paga senza batter ciglio. Ora nel 2007 la crisi non era ancora esplosa e le prospettive di crescita erano ancora alte, insomma vivevamo in un altro mondo e con altre certezze, ma con tutta la buona volontà non si riesce a capire come la dirigenza del Monte abbia potuto impelagarsi in un’operazione così avventata. Oggi la nomenklatura senese si difende proprio evocando la congiuntura internazionale che si è abbattuta come un ciclone, ma qualcosa, anzi molto non quadra. Il passo è più lungo della gamba e avrebbe costretto i colletti bianchi a una serie di operazioni sul filo della legge. La procura ritiene che all’epoca non fu fatta una due diligence . Ma è tutto quel che è successo da allora ad essere passato ai raggi x: l’aumento di capitale che coinvolse 11 banche, capeggiate da JpMorgan, pure perquisita come Intesa Sanpaolo e Barclays, e poi i finanziamenti erogati alla Fondazione, per affrontare il supe-rsforzo finanziario. E non torna l’andamento del titolo, ovviamente crollato come tanti altri in questa stagione grama. È questo uno dei punti più infiammati dell’indagine che sospetta una guerra fra creditori e debitori sui titoli. La procura pensa che il valore delle azioni sia stato gonfiato dai dirigenti del Monte, per tenere su il titolo ed evitare così di versare cifre ingenti, come sarebbe accaduto se si fosse scesi sotto una certa soglia; dall’altra parte invece qualcuno provò a far precipitare le azioni per costringere Rocca Salimbeni a versare ulteriore denaro a garanzia di un pegno. In pratica ci sarebbe stata una manipolazione del mercato, ovvero un aggiotaggio, con un abbassamento inspiegabile del titolo anche nel gennaio 2012. Non solo: sarebbero stati frapposti ostacoli alle funzioni dell’autorità di vigilanza, Consob: il Monte non avrebbe comunicato la sottoscrizione di derivati swap ,stipulati nell’ambito dell’acquisizione di Antonveneta. Almeno due pezzi da novanta del Monte sono indagati, ma l’inchiesta è appena entrata nel vivo. Stefano Zurlo *** Trema il network di Mussari A rischio la riconferma all’Abi - «E ora?». La domanda che rimbalza in tutti gliambienti finanziari non ha ancora trovato una risposta. Ma è chiaro che da oggi nulla sarà più come prima. Perché, sebbene non indagato, la perquisizione negli uffici e nell’abitazione dell’ex presidente Mps e del numero uno dell’associazione bancaria italiana (Abi), Giuseppe Mussari, non destabilizza solo l’assetto dell’istituto di credito senese. L’avvocato di origini calabresi, infatti, è in predicato per una conferma alla guida dell’Abi che aveva modificato il proprio statuto ad hoc proprio per «aprire» la leadership anche a coloro che non ricoprono incarichi in ambito bancario. E proprio in quanto guida dell’associazione, Mussari aveva assunto un ruolo mediatico sempre più rilevante negli ultimi sette mesi. In primo luogo, quando «scavalcò » la stessa presidente di Confindustria Marcegaglia nella stesura del Progetto per l’Italia , ilmanifesto degli imprenditori fortemente critico nei confronti dell’ex premier Berlusconi e che di fatto apriva la strada alla discesa in campo di Mario Monti. In seguito, Mussari ha fatto sentire la propria voce sia per difendere il sistema ( in primis Mps) dalle richieste dell’Eba, l’Authority europea che ha imposto alle banche italiane pesanti ricapitalizzazioni a causa dei Btp in portafoglio. E poi si è scagliato contro la norma del dl liberalizzazioni che azzerava le commissioni bancarie costringendo i «tecnici» alla retromarcia. Nonostante nel 2010 l’elezione di Mussari alla guida dell’Abi fosse stata «sponsorizzata» dalle grandi banche (Intesa e Unicredit) e dall’Acri di Giuseppe Guzzetti (per le Fondazioni bancarie) e questa fiducia non sia venuta meno, tuttavia adesso i suoi detrattori potrebbero avere buon gioco imputandogli non solo il coinvolgimento in una vicenda giudiziaria (Mussari ha diretto Mps sin dal 2001 prima nella Fondazione e poi nella banca), ma anche il non esser riuscito a migliorare la reputazione del sistema bancario presso l’opinione pubblica. L’inchiesta senese su Antonveneta, però, potrebbe pesare «politicamente » su tutte quelle istituzioni che su Mussari si erano poggiate. A partire dall’Acri del«decano » Giuseppe Guzzetti per finire con l’associazione delle assicurazioni Ania che con l’Abi ha via via infittito le relazioni. Dal punto di vista più strettamente finanziario, è ipotizzabile anche una ripercussione su Mediobanca, advisor di Mps nell’operazione Antonveneta e della Fondazione senese nella risistemazione del debito contratto per seguire gli aumenti di capitale. A valle si ritrova uno dei «grandi elettori» di Mussari alla presidenza Abi nel 2010, Alessandro Profumo, che dopo aver lasciato Unicredit è da poche settimane presidente della banca senese. E per il superbanchiere, chiamato in virtù della sua esperienza a garantire un futuro migliore all’istituto (assieme all’ad Fabrizio Viola), il lavoro si farà più difficile. Perché tutto il management hanno un solo scopo: evitare il terzo aumento causato da Antonveneta e individuare un nuovo piano di crescita. Con o senza «alleati». Gian Maria De Francesco