FRANCESCO SEMPRINI, La Stampa 10/5/2012, 10 maggio 2012
Capitali in Svizzera Il governo riapre la trattativa - I tempi sono maturi. L’Italia è pronta, assieme alla Svizzera, ad affrontare lo spigoloso capitolo della regolarizzazione dei capitali depositati nei forzieri elvetici
Capitali in Svizzera Il governo riapre la trattativa - I tempi sono maturi. L’Italia è pronta, assieme alla Svizzera, ad affrontare lo spigoloso capitolo della regolarizzazione dei capitali depositati nei forzieri elvetici. A darne notizia è il viceministro all’Economia, Vittorio Grilli. I negoziatori dei due Paesi si incontreranno a Roma il 24 maggio. Per l’Italia a seguire la trattativa sarà il consigliere diplomatico Carlo Baldocci. «A questo punto ci possiamo sedere intorno ad un tavolo», afferma Grilli nel corso dell’audizione di ieri alla Camera, spiegando che prima non è stato possibile: c’era da risolvere la questione dei ristorni dei «lavoratori frontalieri», con la sospensione unilaterale dei trattati sulla tassazione e la riduzione del 50% della compensazione finanziaria a favore dei comuni italiani di confine. A contenzioso risolto, «sussistono i presupposti perché il confronto si sviluppi». Il riferimento è alla ricerca di un regime convenzionale condiviso in tema di regolarizzazione dei valori patrimoniali detenuti in Svizzera da contribuenti italiani. I primi contatti fra i due governi risalgono agli ultimi mesi di vita del governo Berlusconi. Da allora le stime sui capitali che potrebbero affluire nelle casse dello Stato sono state diverse. E il motivo è presto detto: a pesare su quella stima possono essere diversi fattori, come la reale quantità di denaro degli evasori ed elusori italiani presente nei «caveau» elvetici. Il valore complessivo, secondo le ipotesi che circolano al Tesoro, oscilla in una forchetta compresa tra i 100 e i 150 miliardi di euro. Bisogna inoltre capire quale sarà l’aliquota applicata: si pensa che possa aggirarsi in media attorno al 20%, sulla base di quanto contemplato dai bilaterali stretti tra il governo elvetico con Gran Bretagna e Germania prima e più di recente con l’Austria. Ed è proprio il modello tedesco quello più accreditato per l’Italia anche se Grilli chiosa: «Non abbiamo ancora preso una decisione». Cosa succederebbe in questo modo? Se i correntisti italiani vogliono conservare i conti in Svizzera dovranno pagare una somma una tantum modulata. La Svizzera a sua volta vestirà i panni di esattore e in cambio conserverà il segreto bancario, punto di forza fondamentale per attirare capitali nel Paese. Successivamente i conti saranno tassati con la regolare aliquota imposta dal governo italiano. In questo modo si stima che nelle casse dello Stato potrebbero affluire sino a 25 miliardi di euro, ma la cifra rischia di essere abbattuta da due fattori: l’effettiva capacità di risalire agli intestatari dei conti specie per chi opera attraverso i «trust» e il rischio di trasferimento in altri paradisi fiscali. Per questo al Tesoro c’è chi, più prudentemente, crede al massimo in 10 miliardi di introiti. Per evitare un’emorragia di capitali, il Tesoro sembra stia valutando, tra le altre ipotesi, l’emissione speciale di un Btp che sarebbe acquistato dai correntisti col denaro della una-tantum. Un disincentivo alla fuga, che per lo stato significa meno ricavi immediati, ma la garanzia di un gettito costante (la tassazione sui Btp) e un massiccio investimento in titoli del Tesoro. Accantonata, almeno per ora l’ipotesi di un’intesa in ambito Ue, già auspicata da Monti per evitare sanzioni da parte della Commissione europea. Rischio ormai tramontato perché dopo il timore di «ricadute asimmetriche», la stessa commissaria europea agli affari fiscali, Algirdas Semeta, ha ammesso la compatibilità degli accordi col diritto Ue.