Federico Fubini, Corriere della Sera 10/05/2012, 10 maggio 2012
SULLA CASA BIANCA PLANA L’INCOGNITA DI UN CROLLO INATTESO
Joe Biden, giorni fa, ha ricordato i soli due fattori che secondo lui possono far perdere le elezioni a Barack Obama: «L’Iran e l’Europa». Quando parla di Europa, il vicepresidente americano si riferisce all’insofferenza che si respira intorno alla Grecia: ricorda quella che circondava Richard Fund, il capo di Lehman Brothers, prima che il nome della sua banca d’affari di Wall Street diventasse sinonimo della fine di un’epoca. Gli errori e gli eccessi di Fuld nel 2008 avevano esasperato i suoi colleghi, l’amministrazione Bush e la comunità internazionale. Se Lehman fu lasciata al suo destino, in parte fu perché tutti gli altri non ne potevano più: volevano solo recidere, cauterizzare e chiudere la questione. Si illudevano fosse possibile. Economisti, banchieri, avvocati, tecnocrati pensavano di avere già anticipato tutte le conseguenze e di poterle controllare. Avevano disinnescato buona parte dell’impatto sui derivati, per esempio, ma non avevano idea di quelli che Donald Rumsfeld chiama gli «unknown unknowns», le incognite di cui non si sospetta neppure l’esistenza. Nel caso di Lehman arrivò a sorpresa il collasso dei fondi di liquidità, prodromo a un crollo dell’economia. Ma quali sarebbero le incognite per la Grecia, se fosse lasciata al suo destino e uscisse dall’euro? L’esasperazione dei politici e dei banchieri centrali verso Atene è tale che una domanda del genere sembra del tutto in secondo piano. Per dieci anni i greci hanno falsificato i bilanci. Quindi, emersa la verità, hanno sempre aspettato l’ultimo secondo per approvare le riforme chieste dall’Europa (per poi spesso lasciarle sulla carta). Il governo di Atene ha persino rifiutato l’offerta tedesca di mandare una squadra di tecnici e ingegneri per rimettere in moto la produzione, il sistema fiscale, l’amministrazione. Fossimo in affari, questa sarebbe un’azienda inefficiente e fallita, in mano a manager corrotti, che pretende di dettare le condizioni alla banca creditrice. Per la banca la tentazione di staccare la spina dev’essere irresistibile. Invece questa è una democrazia di undici milioni di abitanti che fa parte dell’euro, dunque una sua eventuale uscita obbliga tutti a cercare di immaginare le conseguenze legali, bancarie o quelle per gli altri Paesi e l’economia mondiale. Nessuno ci ha mai provato sul serio, anche perché servirebbero settimane di lavoro di grandi esperti in una decina di discipline diverse. Ma ecco un esempio: la Grecia converte in nuove dracme i conti bancari e come in Argentina nel 2001 la gente assalta gli sportelli, nella speranza di salvare i risparmi e portarli all’estero; le banche crollano, come a Buenos Aires; questo precedente fa temere anche ai risparmiatori portoghesi, o spagnoli, che lo stesso potrebbe accadere da loro e l’assalto agli sportelli si allarga a buona parte d’Europa. Gli istituti s’indeboliscono e i governi bloccano la libera circolazione dei capitali per fermare l’emorragia di depositi. In situazioni del genere per l’Italia sarebbe vitale un rapporto solido con la Germania e l’aiuto della Banca centrale europea. Tutte incognite, o ipotesi. Una cosa è certa invece. Quando Obama vedrà gli europei al G8 di Camp David la settimana prossima, suggerirà di lasciar cadere la Grecia, se proprio devono, solo dopo la sua rielezione.
Federico Fubini