Il Sole 24 Ore 10/5/2012, 10 maggio 2012
BUFERA PER AGGIOTTAGGIO, INDAGINE SU MPS - È
una burrasca senza precedenti per Banca Mps e il sistema di potere che dalle istituzioni del territorio, attraverso la Fondazione Monte dei Paschi, arriva fino a Rocca Salimbeni, sede del terzo gruppo creditizio nazionale. In città non si erano ancora spente le polemiche per la puntata televisiva di Report, che domenica sera ha presentato un ritratto impietoso (e per molti aspetti ingeneroso) di Siena e della galassia Montepaschi, quando ieri mettina è scattato il blitz della Procura della Repubblica locale che sta indagando sia sulle manovre finanziarie che nel 2008 consentirono a Banca Mps di acquistare Antonveneta, sia sull’anomalo (al ribasso e al rialzo) andamento del titolo Mps lo scorso gennaio.
Il nucleo operativo della Guardia di Finanza di Roma, coordinato dal sostituto procuratore senese Antonino Nastasi, ha impegnato ben 150 uomini in 39 tra perquisizioni e acquisizione di documenti non solo negli uffici del gruppo bancario a Firenze, Roma, Milano, Mantova, Padova e naturalmente Siena, dove una cinquantina di finanzieri e lo stesso magistrato hanno passato la giornata nel quartier generale di Rocca Salimbeni.
Il server che comanda i computer della direzione generale, a Siena, è stato bloccato e gli investigatori hanno fatto visita anche a Comune e Provincia (per recuperare alcuni atti amministrativi e documenti) e nelle abitazioni private del presidente e del provveditore della Fondazione Mps, Gabriello Mancini e Claudio Pieri, dell’ex dg Marco Parlangeli e in quelle di Antonio Vigni, allora direttore generale della banca, in casa e nello studio professionale dell’ex presidente Giuseppe Mussari, attuale leader dell’Abi. Tra gli indagati, che sarebbero quattro, non figurerebbero nè Mussari nè Mancini.
Il blitz della Guardia di Finanza però non si è limitato al sistema-Montepaschi. Oltre ad alcuni studi legali, anche le sedi centrali di Mediobanca, Intesa Sanpaolo e, secondo fonti di agenzia, gli uffici milanesi di Jp Morgan, Credit Suisse, Deutsche Bank e Goldman Sachs, sono stati visitati alla ricerca di documenti. L’ipotesi di reato, come spiega una nota della Procura di Siena, parla di «manipolazione del mercato e ostacolo alle funzioni delle autorità di vigilanza, in relazione alle operazioni finanziarie di reperimento delle risorse necessarie all’acquisto di Antonveneta e ai finanziamenti in essere a favore della Fondazione Mps».
Il numero uno attuale di Banca Mps, Alessandro Profumo, e l’amministratore delegato Fabrizio Viola, entrambi appena arrivati al timone del gruppo di Rocca Salimbeni, ieri hanno seguito in prima persona le operazioni di perquisizione dei finanzieri, a Siena. «La Banca - dice ufficialmente il Monte - assicura come sempre la massima collaborazione e ribadisce la propria fiducia nella magistratura». Stesso tenore di dichiarazioni dalla Fondazione che ribadisce di «aver agito nel piano rispetto delle norme e con la massima trasparenza in tutte le operazioni finanziarie». Al coro si uniscono anche Comune e Provincia. Tutti a chiedere di far chiarezza.
Nel merito, l’indagine punta dritta sul prestito Fresh del 2008 di Banca Mps da 1 miliardo: bond ibrido, di durata perpetua, rimborsabile solo con azioni Montepaschi allo scattare di una determinata soglia di prezzo in Borsa (sopra i 5 euro). Tutte le azioni emesse al servizio del prestito, equivalente a un vero e proprio aumento di capitale ai fini del patrimonio di vigilanza, furono comprate da Jp Morgan, anche se il rischio di credito è rimasto in campo al Montepaschi e il bond fu emesso fiduciariamente dalla filiale lussemburghese di Bank of New York.
Di quel Fresh, la Fondazione Mps acquistò titoli per 490 milioni, attraverso Credit Suisse (300 milioni) e Mediobanca (190) milioni, perchè non voleva diluire il 56% di Rocca Salimbeni in portafoglio. Per lo stesso motivo, sempre nella primavera del 2008, sottoscrisse pro quota (3 miliardi) l’aumento di capitale della banca da 5 miliardi, finalizzato all’acquisto di Antonveneta, costato 9 miliardi cash, finiti nelle casse del Santander che in pochi realizzò una plusvalenza di 3 miliardi. La magistratura vuole ricostruire quei passaggi e vuole anche capire se l’andamento del titolo Mps, nei mesi scorsi, sia stato determinato da comportamenti scorretti. Il nodo Antonveneta è arrivato al pettine di Siena. E scioglierlo non sarà indolore. Ieri il Monte ha perso quasi il 6% in Borsa. Cesare Peruzzi • QUEL BLITZ DOPO MANTOVA E SALENTO - Il Montepaschi "strapagò" AntonVeneta nel blitz del novembre 2007? Poco più di 30 mesi prima, il colosso olandese Abn Amro aveva lanciato un’Opa interamente per cassa sull’87% della banca padovana valutandola in tutto 7,2 miliardi di euro. Al termine di un lungo scontro al calor bianco con la Popolare Italiana di Gianpiero Fiorani (appoggiata dal Governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio), l’Opa conclusiva di Abn sul flottante AntonVeneta, all’inizio del 2006, ne aveva ulteriormente ritoccato il valore verso gli 8 miliardi. L’esborso e la valutazione (superiore alle 2,5 volte il "valore di libro" di AntonVeneta) fin dall’inizio avevano fatto alzare qualche sopracciglio nel board olandese, che aveva dovuto approvare un aumento di capitale da 4 miliardi. Ma il Ceo di Abn, Rijlkman Groenink, aveva sempre tenuto il punto (supportato anche dai grandi media internazionali, ostili al protezionismo della Banca d’Italia) e aveva difeso la strategicità dell’investimento in Italia: un’espansione crossborder avviata già negli anni ’90, mirando una piccola Popolare nel Nordest, rapidamente diventata un player nazionale con le aggregazioni di Bna e Interbanca.
Resta però un fatto che a metà 2007, con la grande crisi bancaria ormai alle porte, Abn non esisteva già più. Dopo l’operazione AntonVeneta schricchiolava. A farne un boccone – con una maxi-Opa da 70 miliardi, per gran parte cash – furono tre colossi europei, poi a loro volta colpiti duramente dalla crisi: la britannica Royal Bank of Scotland (oggi nazionalizzata all’84%), Fortis (poi salvata dai governo olandese e smembrata) e Santander, cui l’Eba a fine 2011 ha certificato il più elevato deficit patrimoniale nell’Eurozona (15 miliardi). A fine 2007, comunque, il "gioiello italiano", pagato già da Abn a prezzo da amatore, viene assegnato al gruppo iberico e rapidamente messo in vendita: neppure Emilio Botìn, da sempre attentissimo allo scacchiere italiano, giudica più strategica l’AntonVeneta.
A Siena, invece, appare subito un’insperata opportunità di crescere senza diluire il controllo assoluto della Fondazione sul Monte, giudicato sempre imprescindibile. Per di più su AntonVeneta ha acceso i fari BnpParibas, che si era già aggiudicata la Bnl al termine della bollente estate 2005: neppure la nuova Banca d’Italia di Mario Draghi, in fondo, avrebbe visto di buon occhio un bis estero.
Mps, d’altronde, morde il freno. Dopo la cura dimagrante al Nord imposta dalla Banca d’Italia nei primi anni ’90 (cessioni di Credito lombardo e Credito commerciale) Siena insegue i campioni nazionali UniCredit e Intesa Sanpaolo: anche per questo rompe gli indugi con un annuncio da 9,3 miliardi (saliti poi a 10 nel documento informativo del giugno 2008) e lancia un maxi-aumento.
La rincorsa è peraltro già cominciata da tempo, secondo uno schema preciso. Nel ’98 il Monte sborsa circa 1,5 miliardi in contanti per il 70% della Banca Agricola Mantovana, valutandola più di 3 volte il patrimonio netto (il "tesoretto" della futura "razza padana" in pre-mobilitazione su Telecom si forma allora). Ma Rocca Salimbeni riconosce un prezzo relativo ancora superiore (4,4 volte il patrimonio netto, circa 1,3 miliardi) a fine ’99 per la Banca del Salento: battendo all’ultimo rilancio d’asta Sanpaolo-Imi e pagando peraltro prevalentemente in azioni i soci pugliesi (tra cui Vincenzo De Bustis, arruolato come direttore generale dello stesso Mps). Antonio Quaglio