Stefano Elli, Angelo Mincuzzi, Il Sole 24 Ore 10/5/2012, 10 maggio 2012
QUELL’OSCURO AUMENTO DI CAPITALE
Per capire cosa abbia spinto la procura di Siena a indagare sull’Mps, ad emettere 38 decreti di perquisizione e a sguinzagliare 147 militari della Guardia di Finanza in dieci banche di sei città, bisogna riavvolgere il nastro indietro nel tempo e riportarlo ad alcuni mesi fa. Bisogna guardare al passato e farsi aiutare dalle parole di una fonte investigativa che i fatti li conosce. Angelo Mincuzzi Stefano Elli SIENA. Dai nostri inviati Torniamo, allora, all’ottobre- novembre del 2011. E’ l’autunno tempestoso dei downgrading bancari, dei parametri dell’Eba, ma soprattutto delle decine di articoli che sulla stampa italiana espongono al pubblico le difficoltà del Monte dei Paschi. A Siena, in città, si comincia a capire che i conti di Rocca Salimbeni e della Fondazione sono traballanti. E l’origine di quei guai viene individuata nel fardello finanziario che la banca e la fondazione si trascinano dai tempi dell’acquisizione di Antonveneta, cinque anni fa. Ecco dunque che, proprio in quei giorni di autunno, si riuniscono in un ufficio il sostituto procuratore di Siena, Antonino Nastasi, gli uomini del Nucleo di polizia valutario di Roma della Guardia di Finanza, guidato dal generale Leandro Cuzzocrea, e i militari del comando provinciale delle Fiamme gialle della città toscana. La nostra fonte investigativa colloca in quel momento il punto iniziale dell’indagine. Agli inquirenti e agli investigatori, il Monte dei Paschi appare come un malato che fatica a riprendersi e che adotta soluzioni tampone per far fronte alle difficoltà e alla discesa del titolo in borsa, che dal giugno all’ottobre 2011 ha perso la metà del suo valore. E la Fondazione non mostra segnali migliori. Insomma, gli effetti negativi dell’operazione Antonveneta emergono tutti nell’autunno di un anno fa. E’ possibile che anche altri fattori abbiano convinto i pm di Siena ad accelerare le indagini, ma quel che è certo è che le ipotesi investigative si raccolgono, sempre in quei giorni, in due articoli di legge: il 2638 del Codice civile (ostacolo alla funzione dell’autorità di vigilanza) e il 185 del Testo unico della finanza (manipolazione del mercato). Sono le ipotesi di reato per le quali il pm Nastase decide di iscrivere nel registro degli indagati almeno quattro persone. I magistrati parlano di fatti iniziati nel 2007 ma protrattisi sino al 2012. Gli indagati dovranno rispondere di reati specifici come l’ostacolo alla vigilanza e la manipolazione di mercato. E qui si apre un ulteriore interrogativo. Da sempre si tratta di reati su cui a vantare una competenza particolare è la procura di Milano. E non si esclude che un fascicolo possa già essere stato aperto dagli uomini di Francesco Greco, coordinatore del dipartimento milanese che si occupa di reati finanziari. Dunque, vediamola questa contestata acquisizione conclusa con il banco Santander a una cifra esorbitante (oltre nove miliardi di euro). Un acquisto, oltretutto che ha avuto una genesi discutibile: senza alcuna due diligence (come si legge a pagina 12 del documento informativo redatto il 16 giugno del 2008, ai tempi dell’acquisto) cioè senza alcuna perizia di stima, ma con il criterio del dividend discount model, un sistema che fa ricorso a multipli di mercato come il price/earning. Nel mirino degli inquirenti, sono finite anche le modalità del reperimento delle risorse che hanno consentito alla banca senese di acquisire Antonveneta dalla banca spagnola, che a sua volta nel 2007 l’aveva rilevata per una cifra sensibilmente inferiore (6,6 miliardi di euro) dagli olandesi di Abn Amro. In particolare un aumento di capitale deciso in prossimità dell’operazione aveva suscitato critiche e perplessità da parte degli azionisti. Per trovare le risorse, la banca ha dovuto per due volte aumentare il proprio capitale. Una prima volta nel marzo del 2008 per un controvalore complessivo di 4,9 miliardi circa. Un secondo aumento di capitale è stato effettuato il mese successivo, questa volta riservato alla banca d’affari JP Morgan securities, per 950 milioni di euro. Nella terza fase Mps ha emesso un prestito obbligazionario per un ammontare nominale di 2,2 miliardi (battezzato Fresh) Non bastava e allora si è fatto ricorso a un prestito ponte erogato da un pool di banche tra cui Mediobanca, Merrill Lynch, Credit Suisse, la stessa JP Morgan, e Goldman Sachs per un totale di 1.950.000.000 euro. Non bastava ancora e si è deciso di dismettere alcune partecipazioni come quella di Finsoe (Unipol), di Banca del Monte di Parma, e di 125 sportelli. Tutto questo per un’acquisizione che anche ai tempi in cui era stata decisa appariva del tutto sbilanciata. Dove i magistrati di Siena vogliano arrivare lo diranno anche le carte sequestrate ieri. E si vedrà se l’indagine è destinata a decollare.