Paolo Condo’, Gazzetta dello Sport 10/5/2012, 10 maggio 2012
I cent’anni del Paròn Trieste celebra il suo Nereo Rocco – L’espressione di Nereo Rocco è inconfondibile, quel mix di burbero e paterno che fu il suo stile
I cent’anni del Paròn Trieste celebra il suo Nereo Rocco – L’espressione di Nereo Rocco è inconfondibile, quel mix di burbero e paterno che fu il suo stile. «’ndemo ragazzi, dai» ti dice, occhi negli occhi, prima di avviarsi verso il campo; la luce in fondo al tunnel è vivace, sembra quasi di sentire il profumo dell’erba, la suggestione è violenta. Ci sono molti modi di introdurre il percorso di una mostra. Questo ingresso a forma di tunnel degli spogliatoi, con il filmato del Paròn proiettato sulla parete e l’audio originale, è una grande scelta. «Le parole risalgono alla stagione 1973-74» racconta con certosina precisione Gigi Garanzini, il giornalista che ha curato l’allestimento della rassegna. Da triestini, avevamo capito che si trattava ormai del Rocco metropolitano, perché soltanto «’ndemo» è dialetto (andiamo, ndr); dodici anni prima - appena arrivato a Milano - avrebbe detto «’ndemo muli, dei», i giocatori del Milan l’avrebbero ugualmente capito e sarebbero andati. A vincere lo scudetto e la prima coppa dei Campioni del calcio italiano. Genesi In quegli anni Garanzini era un ragazzo che imparava il mestiere di cronista tirando spesso mattina al ristorante con Nereo, che l’aveva preso in simpatia. Professione e amicizia ci misero poco a mischiarsi, e certi legami sono per sempre: Rocco morì il 20 febbraio 1979, e da allora Gigi non manca mai all’abbraccio con Bruno e Tito, i figli del tecnico. «Quando però ci si incontra per una commemorazione è fatale che il clima tenda al malinconico, e alla fine questo non rende omaggio al Paròn, la persona più allegra che abbia conosciuto. Ragionando a voce alta con gli amici di Trieste dissi che sarebbe stato bello organizzare un grande evento per i cent’anni della nascita di Nereo, una ricorrenza finalmente festosa; un’idea gettata lì, ma che ha germogliato». L’inaugurazione ufficiale della mostra avverrà lunedì - da martedì sarà aperta al pubblico - mentre il centenario esatto cade fra due domeniche, il 20 maggio. Carattere Ammirato in anteprima, il percorso espositivo - una volta usciti dal tunnel - parte dalla gigantografia dell’immagine che da sola riassume la carica umana di Rocco. E’ l’estate del ’63, l’allenatore si è appena trasferito al Torino ma il rapporto speciale con i giocatori è già nato, prova ne sia lo «schiaffo del soldato» immortalato dalla fotografia. Non si tratta soltanto di un clic irresistibile; se pensiamo a un allenatore moderno fresco di Champions - che abbia l’aplomb di Mourinho o quello di Guardiola - l’idea di vederlo subissato di botte dai suoi uomini, sia pure scherzose, è irreale. La verità è che Rocco ha assunto nel tempo i contorni dell’icona (nessun altro personaggio calcistico si è visto dedicare una mostra di paragonabile profondità) grazie a un carattere inimitabile, e al fatto che con questo carattere abbia vinto tutto. Panchine Ciò non significa che Rocco non abbia passato i suoi momenti di sofferenza. Anzi: su una delle sei panchine che ritmano il procedere della mostra - come i capitoli di un libro - è trascritto un suo pensiero sull’inconsapevolezza, da parte dei tifosi, di quanto l’allenatore possa macerarsi durante una partita mentre in tribuna se la godono. Altre frasi celebri, in un comprensibilissimo triestino: «mi son de Cecco Beppe» a sottolineare le ascendenze austriache, «mi fazo catenaccio, i altri xe prudenti» per punzecchiare la critica, e il famosissimo «vinca il migliore? Speremo de no». L’esposizione è ordinata in senso cronologico: si va dagli anni da giocatore alle prime esperienze da tecnico alla Triestina e al Treviso, dalla tappa fondamentale di Padova ai tre periodi milanisti (e via Turati ha concesso alla mostra un po’ di coppe), inframmezzati dalle esperienze al Torino e alla Fiorentina. Non poteva mancare un’ampia zona Gazzetta: Alberto Cerruti ha scelto gli articoli più significativi con i quali la Rosea ha accompagnato l’epopea del Paròn. Filmati La quantità di memorabilia è una gioia per gli occhi, ma dovendo dare un consiglio - uno solo - al visitatore, gli diciamo di concedersi del tempo per vedere i filmati che Garanzini ha ripescato da quell’immenso tesoro di cultura nazionale che è RaiTeche. C’è Umberto Saba che recita le sue poesie sul gioco del calcio, c’è un impagabile spot pubblicitario degli abiti Facis recitato da Rocco, ci sono le interviste che Adriano Celentano realizzò dopo un derby con Angelo Moratti, un giovanissimo Carraro, Herrera e Nereo, c’è un documentario sulla vita a Milanello di Ugo Zatterin, non mancano le celebri interviste al tecnico di Gianni Brera, Gianni Minà e Carlo Sassi. C’è infine un’esilarante partecipazione di Rocco e Nicolò Carosio a un programma di Paola Quattrini, con apparizione a sorpresa del grande vignettista del «Guerino» Marino, che disegnava i due sempre ubriachi; Carosio se la ride, Rocco accarezza visibilmente l’idea di strozzarlo, ma poi lascia perdere. La chiusura della mostra - ed è un tocco di genio - è all’osteria del Paròn, dove si potrà davvero mangiare e bere. Garanzini ricorda con gratitudine: «Yeti a Trieste, Cavalca a Padova, l’Assassino a Milano: Nereo diceva "ci vediamo stasera nel mio ufficio", e tu disdìvi qualsiasi impegno». Dev’essere nato così «sempre meglio che lavorare».