Franco Bechis, Libero 9/5/2012, 9 maggio 2012
IL PD HA PERSO UN VOTO SU TRE. MA È FELICE
Anche Pierluigi Bersani e il suo Partito democratico hanno pagato – come il Pdl – la tassa elettorale Monti. E non è obolo da poco, perché a conteggi ultimati il Pd ha lasciato sul campo un voto su tre rispetto alle regionali del 2010, quando peraltro il principale partito della sinistra italiana aveva toccato il fondo facendo registrare il peggiore risultato di sempre. Nei comuni capoluogo Bersani ha perso in media il 31,44% rispetto al 2010. Peggio è andata nei comuni più piccoli: in quelli non capoluogo con popolazione superiore ai 25 mila abitanti la perdita media è stata del 33,37%. I dati nudi e crudi fotografano a sinistra una realtà ben diversa da quella fatta trapelare a caldo quando si conoscevano solo i risultati di ballottaggi e sindaci eletti al primo turno. Quello del Pd se non è la disfatta del Pdl, è comunque un crollo di consensi di tutto rispetto, di quelli che non si trovano negli annali della storia politica italiana. I voti di lista sono stati un vero e proprio naufragio: il partito di Bersani ha perso terreno rispetto al disastro del 2010 in 58 su 62 grandi comuni dove si è votato. In quelli capoluogo disfatta in 25 su 26 comuni. I soli 4 posti di Italia in cui il Pd ha migliorato il proprio peso elettorale in valore percentuale (numericamente ha perso nel 100% dei comuni, essendo stata più alta l’astensione) hanno certamente una loro dignità, ma non sono certo il termometro della politica italiana: si tratta infatti di Isernia, Ardea (provincia di Roma), Cernusco sul Naviglio e Montesilvano (provincia di Pescara). Il Pd ha addirittura perso più della metà dei voti che aveva solo due anni fa ad Agrigento, Cuneo e Palermo fra i comuni capoluogo e ad Acerra (Napoli), Aversa (Caserta), Avezzano (L’Aquila), Bitonto (Bari), Cerveteri (Roma), Fasano (Brindisi), Nocera Inferiore (Salerno), Rapallo (Genova), Sant’Antimo (Napoli) e Torre Annunziata (Na), mentre a Torre del Greco ne ha perso la metà esatta. Questo significa che nei grandi comuni il Pd ha dimezzato i suoi voti nel 21% dei casi.
Ci sono molte ragioni e similitudini nel crollo di Pd e Pdl. Alcuni dati macroscopici sono motivati in entrambi i casi dalla presenza di liste civiche che hanno sottratto voti ai marchi tradizionali. Il confronto con le regionali resta comunque impietoso, perché anche in quel caso quasi ovunque i candidati presidenti si erano fatti la loro lista civica (quella di Renata Polverini risultò addirittura un partitone).
La «tassa Monti» , e cioè il prezzo altissimo pagato nell’appoggio del governo tecnico, è la seconda cosa che accomuna i due grandi partiti, e in fondo anche il Terzo Polo che complessivamente è naufragato risultando quasi ovunque la quarta forza politica e in qualche caso perfino la quinta o sesta forza con percentuali insignificanti.
Ha visto giusto in questo caso Giuliano Amato, quando a Otto e mezzo la sera stessa di lunedì si è detto colpito dal crollo di entrambi i partiti guida dello schieramento politico, ipotizzando un Pd intorno al 20% dei consensi e un Pdl vicino al 15%. I due partiti nudi sono in effetti molto vicini a quelle percentuali, e non è chiaro quanto del voto andato in libertà verso liste civiche di area possa essere conteggiato, tornando al marchio principale. Queste cifre però rafforzano come poche altre il parallelo già evidente dopo i primi exit poll fra voto amministrativo italiano e voto politico in Grecia. In entrambi i casi le urne sono diventate un giudizio popolare sulle politiche adottate da un governo tecnico imposto dall’Europa versione Angela Merkel. E in entrambi i casi i grandi partiti che sostengono il governo tecnico non avrebbero più la maggioranza necessaria nemmeno per un governassimo. Certo, con le leggi elettorali tutto si può fare, ma fa una certa impressione vedere che la maggioranza politica sulla carta più vasta che in Italia ci sia mai stata (Pd-Pdl-Terzo Polo e partitini satelliti) nelle urne delle amministrative risulti sotto (e non di pochissimo) al 50% del gradimento dell’elettorato. Il governo Monti avrebbe dunque tolto con le sue politiche 20-25 punti percentuali alla maggioranza che lo sostiene in Parlamento. E dalle amministrative emerge che gli elettori pesano Beppe Grillo, Antonio Di Pietro, Roberto Maroni, Nichi Vendola e liste dissidenti rispetto al governo Monti più di Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Pierferdinando Casini (con annessi Gianfranco Fini e Fancesco Rutelli) messi insieme.
Un trend che emergeva sempre più dai sondaggi di opinione man mano che passavano le settimane, aggravato però dal responso delle urne che vale ben più di un sondaggio.
La disfatta del Pd è certificata anche dall’Istituto Cattaneo che ha radiografato il voto in 24 comuni campione, dove Bersani ha perso il 29% dei consensi rispetto al 2010, con risultati peggiori nel Nord e nelle regioni rosse (-30%) e danni più limitati nel Sud (-20%).
Franco Bechis