Antonella Baccaro, Corriere della Sera 09/05/2012, 9 maggio 2012
L’ASL? PAGA CON 1.656 GIORNI DI RITARDO —
Ormai avere pazienza non basta più. Per le imprese che forniscono apparecchiature e impianti medici alle aziende pubbliche, farsi pagare i 5,6 miliardi di crediti che hanno accumulato finora è questione di sopravvivenza. Ma il problema sussiste anche per le Regioni debitrici e per lo Stato che, se riconoscesse e certificasse questi crediti, si ritroverebbe un bel buco di bilancio.
E intanto i tempi di pagamento sono diventati biblici: il record appartiene all’azienda sanitaria locale Napoli 1 centro, che ha accumulato un ritardo di 1.656 giorni, circa quattro anni e mezzo. Quando all’azienda più virtuosa, l’Asl 3 Alto Friuli di Gemona (Udine) di giorni ne bastano 48.
Scorrendo i dati, emerge l’enorme debito della Campania, che sfiora il miliardo, seguito da quello del Lazio, pari a 705 milioni e mezzo, poi della Calabria con 479 milioni e mezzo. Tutte realtà già commissariate e alle prese con i piani di rientro. Ma nella parte alta della «classifica» dei debitori delle imprese biomediche si piazzano anche Regioni meno sospettabili, come l’Emilia Romagna (475 milioni) e il Piemonte (460 milioni), che si colloca al quinto posto anche nella lista delle Regioni più ritardatarie, con una media di 296 giorni necessari per pagare i fornitori, dopo Calabria, Molise, Campania e Lazio.
«A volte le medie non raccontano tutta la verità — precisa Stefano Rimondi presidente di Assobiomedica, l’associazione di Confindustria che rappresenta queste imprese —, in Veneto ci può essere l’azienda di Verona che paga in 482 giorni e quella dell’Alto Vicentino che ce ne mette 95».
Assobiomedica sta cercando di sensibilizzare il governo Monti. «Per garantire una situazione di normalità nei rapporti commerciali la prima cosa da fare è il recepimento della direttiva europea sui pagamenti, in anticipo rispetto al novembre 2012». Su questo punto il governo si è dichiarato d’accordo. Ma, secondo Rimondi, il problema non si risolve se, decorse le scadenze legali, il debitore non certifica l’ammontare del dovuto, in modo da consentire all’impresa di monetizzare il proprio credito a costi di cessione più bassi.
La Sanità, cioè la debitrice più importante della pubblica amministrazione, era stata esclusa esplicitamente dal dovere di certificare i propri crediti e ciò spiega la scarsa diffusione tra i fornitori dell’istituto della cessione dei propri diritti. Il maxi-emendamento alla seconda manovra estiva ha aperto la certificazione anche alla Sanità, tranne che per gli enti locali commissariati e le Regioni sottoposte a piani di rientro: proprio i pagatori peggiori.
E come se ciò non bastasse, ogni anno imperversano i provvedimenti di blocco delle azioni esecutive verso le aziende sanitarie appartenenti a Regioni tenute a osservare piani di rientro. Una prassi che Assobiomedica ha sottoposto alla Commissione europea e che il tribunale di Napoli e il Tar di Salerno hanno impugnato, sollevando la questione di illegittimità costituzionale.
Qualche soluzione sarebbe praticabile già adesso per le aziende creditrici. Come il diritto di scegliere, oltre al ricorso alle banche, la compensazione dei crediti con debiti fiscali e previdenziali: operazione prevista dalla legge 122 del 30 luglio 2010, ma mai entrata in vigore per mancanza del decreto attuativo, e poi inserita come norma precisa nello statuto delle imprese, che su pressione della Ragioneria generale dello Stato è stata eliminata per mancanza di copertura.
«Le imprese fornitrici di apparecchiature mediche non riescono più a investire in ricerca e sviluppo — dice Rimondi — la situazione attuale è un chiaro invito a delocalizzare. O a scomparire».
Eppure qualcosa si potrebbe fare anche rispettando l’intenzione del governo di non fare aumentare il debito pubblico. Ad esempio l’assegnazione di titoli pubblici: «Si potrebbe pensare a emissioni dedicate, a breve scadenza, non negoziabili. Le imprese creditrici potrebbero monetizzarle con istituti finanziari convenzionati con il Ministero dell’Economia». Quanto al rientro dei debiti accumulati, potrebbe avvenire attraverso le dismissioni, costituendo un fondo immobiliare che emetterebbe titoli garantiti dal patrimonio conferito, con assegnazione di una quota del ricavato al pagamento dei debiti.
Antonella Baccaro