Sergio Rizzo, Corriere della Sera 09/05/2012, 9 maggio 2012
PROVINCE, CORAGGIO. TAGLIARLE SUBITO
L’occasione è ghiotta per smarcarsi finalmente dal gioco a rimpiattino che si trascina da mesi sull’abolizione delle Province. Mario Monti farebbe bene a non lasciarsela sfuggire.
Non bastasse la valanga di sondaggi favorevoli all’eliminazione di quegli enti, le elezioni amministrative di domenica e lunedì hanno detto con chiarezza che la volontà popolare è
per il superamento dei vecchi schemi.
Indubbiamente una spinta in più a favore di un intervento a tutto campo del governo, che dovrà recepire il risultato del referendum della Sardegna. E approfittando di questo potrebbe finalmente tagliare la testa al toro. Non limitandosi esclusivamente a ratificare la decisione dei cittadini sardi, che hanno cancellato le quattro nuove Province operative dal 2005 esprimendosi però anche a favore dell’abolizione delle altre quattro, ma sciogliendo insieme, con un provvedimento, tutti i nodi irrisolti del decreto salva Italia che riguardano le altre Province italiane. La manovra Monti di dicembre stabilisce che le loro funzioni siano trasferite ai Comuni o assunte dalle Regioni entro il 31 dicembre 2012. Per quella data dovranno essere anche fissate le regole con le quali gli organi politici elettivi provinciali sarebbero di fatto cancellati, visto che gli attuali consigli dovrebbero essere sostituiti da strutture composte al massimo da dieci persone, emanazione diretta dei Comuni. Il problema è che questi passaggi, automatici nella versione iniziale del decreto salva Italia, sono stati in seguito subordinati per le pressioni politiche all’approvazione di una legge: appunto entro la fine di quest’anno. Evidentemente nella speranza di limitare al massimo i danni. Va da sé che per ogni giorno passato in più, le resistenze si rafforzano. L’ultimo segnale è la decisione di non commissariare le sei Province che si sarebbero dovute rinnovare in questa tornata di amministrative (Como, Genova, La Spezia, Ancona, Vicenza e Belluno) con la nomina di altrettanti prefetti, com’è prassi e come prevede il testo unico sugli enti locali, ma nominando commissari gli attuali presidenti (tranne quello di Genova, dove Alessandro Repetto si è dimesso). Di fatto, quindi, prorogandoli. In Sicilia si moltiplicano gli sforzi perché gli organi della Provincia di Ragusa vengano anch’essi prorogati. Da vero irriducibile, nel frattempo, il presidente della Provincia di Palermo Giovanni Avati ha appena annunciato l’inaugurazione «entro un anno» di una «Città dei giovani» in una ex caserma. Costo: 10 milioni di euro prelevati, scrive il giornale online LiveSicilia, dal «progetto sicurezza». E non si demorde nemmeno in Sardegna. Per nulla scoraggiata dal risultato del referendum, né dalle dimissioni subito rassegnate dal presidente di Carbonia-Iglesias Salvatore Cherchi e di quelle annunciate del presidente del Medio Campidano, Fulvio Tocco, l’Unione delle Province sarde annuncia battaglia, contestando il raggiungimento del quorum. Mentre c’è chi non esclude che il terremoto politico potrebbe addirittura provocare lo scioglimento anticipato del Consiglio regionale. Questo è dunque il momento per chiudere la partita, una volta per tutte. Aspettare ancora significherebbe offrire ulteriori assist ai frenatori, persuasi che il trascorrere delle settimane giochi a loro favore. Non a torto. L’agenda dei prossimi mesi del governo e del Parlamento (dove siedono, è bene ricordarlo, dieci presidenti di giunte provinciali) rischia di essere infernale, e per una faccenda così spinosa come l’abolizione delle Province nella loro versione attuale potrebbero non esserci nemmeno i tempi tecnici per rispettare la scadenza di fine anno. Quando l’Italia, per inciso, sarà già in piena campagna elettorale. E vedremo un altro film.
Sergio Rizzo