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 2012  maggio 09 Mercoledì calendario

Puniti gli insegnanti che insegnano - Il Periódico di Andorra informa che una docente della Scuola spagnola dell’infanzia del Principato di Andor­ra è stata cacciata per aver insegnato a leggere e a far di conto ai suoi alunni

Puniti gli insegnanti che insegnano - Il Periódico di Andorra informa che una docente della Scuola spagnola dell’infanzia del Principato di Andor­ra è stata cacciata per aver insegnato a leggere e a far di conto ai suoi alunni. L’impu­ta­zione a suo carico è che bambini di 4 e 5 an­ni sappiano già leggere, fare somme e sottra­zioni e stiano perfino apprendendo a scrive­re ( il che in India e in molti paesi asiatici è un obbligo). I genitori dei bambini hanno fatto ricorso all’ambasciata spagnola sostenen­do che in Spagna sono richiesti minimi edu­cativi ma non è definito alcun massimo. Un ispettore ha respinto il ricorso, conferman­do la cacciata dell’insegnante. Le si è genero­samente concesso di completare il corso di quest’anno a condizione di abbassare il livel­lo dell’insegnamento... Sarebbe un grave er­rore accantonare questa vicenda come un episodio folkloristico. Essa è la logica conse­guenza di un andazzo che va avanti da anni in gran parte dell’Occidente e che mira a tra­sformare la scuola in una «comunità di ap­prendimento- intrattenimento» in cui gli in­segnanti sono ridotti a «facilitatori», a fornito­ri di un servizio di supporto nel quadro di un variegato complesso di attività in cui l’inse­gnamento disciplinare è l’ultimo degli ob­biettivi ( se pure lo è) e in cui il primo degli ob­biettiv­i è lo svago e attenersi a standard mini­mi senza stancare. Non a caso si è aperta da noi la discussione se diminuire o sopprimere i compiti a casa, sull’onda di un’iniziativa di genitori francesi che, stressati dallo stress dei figli, hanno pro­clamato che i compiti «fanno male». Questo dibattito ha messo in luce la schizofrenia di proclamare come valore assoluto l’«autono­mia » scolastica e poi voler definire per decre­to se e quanti compiti vanno dati, sottraendo all’insegnante un aspetto importante della sua libertà educativa. Ma questo è niente a fronte dei discorsi surreali sull’insegnamen­to «capovolto»: niente spiegazioni in classe, si studia a casa con videoregistrazioni e su in­ternet (meglio se in gruppo) e poi a scuola l’insegnante si limita a facilitare l’applicazio­ne delle conoscenze trasformandole in «competenze». È la scuola vista come «web community» in cui tutto viene costruito «dal basso» con materiali e metodi «accattivan­ti ». Sembra che da noi tutto ciò piaccia molto al ministro Profumo. Il ministro Fornero si la­menta che i nostri giovani non sappiano leg­gere, scrivere e far di conto: farebbe bene a ri­volgersi al collega di governo. Nell’orgia del­la trasformazione della scuola del sapere in quella del «saper fare», dell’insegnante nel senso di Hannah Arendt - «che si qualifica per conoscere il mondo e istruire altri in pro­posito, mentre è autorevole in quanto, di quel mondo, si assume la responsabilità» ­non resta nulla. Certo, gli insegnanti non so­no tutti santi e impeccabili. Ma non si ripete di volerli sempre più qualificare, esaltare la loro funzione, restituirle dignità? Il modo corretto per farlo sarebbe di trasformarli in dipendenti di terz’ordine doppiamente su­bordinatialdirigismoministerialeealleidio­sincrasie dell’ “utente”? È proprio quel che propone la legge sul­l’autogovernodelleistituzioniscolastichere­centemente approvata dalla commissione istruzione della Camera.Essa è centrata sul­l’idea di trasformare le scuole in istituzioni «autonome» e legate al territorio, come se questo fosse di per sé un toccasana. Ma l’uni­ca autonomia che questa legge non garanti­sce, o piuttosto annulla, è quella degli inse­gnanti. La scuola sarebbe gestita da un consi­glio dell’autonomia presieduto da un genito­re - scelta bizzarra visto che la componente genitoriale è la più transeunte di tutte. Il con­siglio prevede una presenza pariteti­ca di genitori e inse­gnanti, con l’ag­giunta di rappre­sentanti di «realtà» culturali, sociali, produttive, professio­nali e dei servizi nonché degli studenti (per le scuole superiori) e quindi mette i docen­ti in minoranza. Alla funzione docente si ri­serva la «piena libertà»di programmare e at­tuare l’attività didattica, ma di fatto la si to­glie, subordinandola da un lato alle direttive ministeriali (alle indicazioni, agli standard nazionali, alla certificazione delle compe­tenze e alle innumerevoli prescrizioni) e dal­l’altro a interessi particolari, in quanto deve attenersi «alle linee educative e culturali del­la scuola » da negoziare con genitori, studen­ti e le famose «realtà». Se già la scuola è ridotta a un emporio di at­tività frammentate è fa­cile immaginare a co­sa verrebbe ridotta da questa legge trasversa­le, frutto di due debolezze politiche che, sor­reggendosi a vicenda , hanno realizzato il ca­polavoro di­accoppiare una visione azienda­lista con una demagogia assembleare, in sal­sa di costruttivismo. Se questi sono i capola­vori che partoriscono le forze politiche allo­ra non c’è da stupirsi se il Paese è in mano alla tecnocrazia e al ribellismo protestatario.