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 2012  maggio 09 Mercoledì calendario

ITALIA-GERMANIA, PATTO SUL FOOD

Patto d’acciaio italo-tedesco. Il gigante mondiale Fiera di Colonia insieme a Federalimentare e Cibus rilanciano l’alleanza internazionale annunciando un accordo per iniziative congiunte in fiere e progetti di marketing in tutto il mondo. La prima iniziativa comune è in agenda per il 2013 a Bangkok, in Thailandia: si tratta di Thaifex, l’evento dell’alimentare leader dell’Asean, quest’anno arrivato alla quinta edizione. «La collaborazione – osserva Gerald Bose, presidente di Koelnmesse – potrà estendersi a mercati in cui Colonia è attiva, come Cina, Russia, Giappone e India. Il food italiano ha grandi potenzialità di crescita in Asia».
«A Bangkok – interviene Antonio Cellie, ad di Fiere di Parma – contiamo di portare una collettiva di 150-200 imprese italiane. Gestiremo in nome e per conto della partnership con Fiera di Colonia la partecipazione degli italiani. Peraltro la nostra intesa con i tedeschi comprende oltre al food anche le macchine alimentari prodotte in Italia per le quali abbiamo già il format triennale di CibusTec».
Le imprese italiane dell’alimentare sono grandi esportatrici: quest’anno il valore dovrebbe raggiungere i 25 miliardi, +9 per cento. Ma le potenzialità di crescita sono ancora consistenti: un’opportunità da cogliere al volo, considerato che il mercato domestico batte la fiacca da anni. Ma qual è l’interesse del colosso Koelnmesse ad allearsi con i "piccoli" italiani di Cibus? Di fatto le imprese italiane espositrici sono il miglior cliente di Anuga, la fiera del food numero al mondo che si svolge (negli anni dispari) a Colonia: «Nell’ultima edizione – sottolinea Thomas Rosolia, ceo di Koelnmesse Italia – hanno partecipato 1.200 aziende italiane contro 950 tedesche».
Poi Federalimentare, che ha una quota del 50% di Cibus, è comunque il punto di riferimento di 6.300 imprese. «Cibus – aggiunge Rosolia – ha un marchio forte e attrattivo per le nostre fiere nel mondo. Eppoi è meglio allearsi con Cibus anzichè esporsi alla sua eventuale concorrenza». Dal suo canto Cellie sembra lanciare un messaggio criptato ai concorrenti: «All’estero andiamo avendo l’ambizione di essere chiamati e pagati. Di certo non ci rimettiamo un euro». L’asse italo-tedesco però ora è più cauto. È ancora fresco il ricordo del flop di "Gusto Italia", un progetto annunciato in pompa magna (e patrocinato dall’Ice) per gli esportatori italiani che si sarebbe dovuto realizzare a Colonia il prossimo giugno, in una vetrina espositiva totalmente italiana e destinata a un target specializzato di buyer provenienti dai Paesi di lingua tedesca. La fiera però è stata annullata, causa crisi economica, dopo le defezioni di consorzi e aziende. «La differenza col Thaifex – corregge Rosolia – è che la piattaforma italiana va ad aggiungersi a un evento già collaudato».
«E che si tiene – conclude Cellie – in un area, l’Asean, ad alta crescita con 800 milioni di consumatori. Per il resto con Colonia non andremo a Shangai o a Pechino a fare i follower dei francesi del Sial o di qualche altro: puntiamo sui territori confinanti con i paesi caucasici dove c’è un grande distretto produttivo». Emanuele Scarci • PECORINO “ROMANO” MADE IN SIDNEY - A Singapore il formaggio pecorino "Romano" è arrivato prima delle imprese italiane produttrici. A pensarci però è stata la società australiana Fonterra che cura la distribuzione nelle catene commerciali della città-Stato. La confezione verde del prodotto reca, sopra una bandiera italiana, "Perfect Italiano Romano" e "Perfect Italiano Parmesan". «Non volevo crederci – dice Gianni Maoddi, produttore e presidente del Consorzio per la tutela del Pecorino Romano – Qualche settimana fa abbiamo partecipato, per la prima volta, a una fiera a Singapore. Ma con stupore abbiamo constatato che non c’è bisogno di lanciare il Romano: i consumatori di Singapore lo conoscono già "grazie" a Fonterra. Nei centri commerciali abbiamo acquistato un prodotto che è una penosa e scadente imitazione dell’originale» (vedi foto). Il Consorzio per la tutela del pecorino Romano coinvolge 50 aziende produttrici e 15mila allevatori, quasi tutti sardi. Nel 2011 sono stati commercializzati 247mila quintali di formaggio per un valore di 136 milioni. Ma come difendersi dalle imitazioni? «Guardi – risponde sconsolato Maoddi – ci abbiamo provato in tutti i modi. Anche facendo causa, negli Stati Uniti, a Galbani per il brand "Pecora", che riteniamo chiara imitazione del pecorino Romano, e poi acquistandolo per 70mila dollari. Soldi buttati via». Anche perchè dopo lo shopping del brand "pecora" del 1998 i cloni si sono riprodotti. «Lo scorso gennaio – racconta l’imprenditore sardo – ho acquistato in California un’altra imitazione del nostro formaggio: reca il nome "Romano" ma non arriva dall’Italia. E quel che è più grave è che è esportato dalla Francia da Galbani-Lactalis, che nel frattempo ha rilevato Parmalat. Abbiamo provveduto all’acquisto del prodotto e denunciato il fatto al ministero delle Politiche agricole. Finora però non si è svegliato nessuno».
Coldiretti ha protestato per i casi di Italian sounding, magari finanziati dai contribuenti. «Qui – aggiunge Maoddi – non dobbiamo fare nessuna sceneggiata. Il governo italiano dovrebbe affrontare seriamente il problema: in Europa le nostre Doc sono protette. Ma fuori dal Vecchio continente non c’è tribunale che tenga. Il governo dovrebbe affrontare la questione in sede di Wto». E. Sc.