Luca Orlando, Il Sole 24 Ore 9/5/2012, 9 maggio 2012
NOVE ANNI PER UN FALLIMENTO
Tra gennaio e marzo, ogni giorno 33 imprese hanno portato i libri in tribunale. Per ottenere la liquidazione degli importi i creditori aspetteranno in media fino al 2021.
Gli ultimi numeri sui fallimenti rilevati da Cerved Group fotografano ancora una volta la storia di un sistema produttivo in difficoltà, su cui però pesano anche i costi insostenibili della lunghezza delle procedure: nel 2011, infatti, i tempi medi di recupero dei crediti sono stati pari a 8,6 anni.
Tra gennaio e marzo del 2012 i default in Italia sono cresciuti del 4,2% a quota tremila e si tratta del sedicesimo trimestre consecutivo di aumento.
Scomponendo il dato per settori l’unica nota positiva è per l’industria, con procedure in calo del 7,2 per cento. Scenario opposto per i servizi e soprattutto l’edilizia, dove l’aumento dei default è superiore all’8 per cento.
«Le costruzioni sono ferme – spiega l’ad di Cerved Group Gianandrea De Bernardis – e questo stop si propaga lungo l’intera filiera. Le aziende legate al sistema casa e i servizi immobiliari, non a caso, sono ancora tra i comparti più penalizzati. All’opposto l’industria, che per prima nel 2009 aveva subito l’impatto della recessione ora mostra segnali di resistenza, grazie soprattutto alla ripresa dell’export». Chiave di lettura che si conferma anche a livello territoriale, dove Veneto ed Emilia Romagna, regioni che per prime avevano subito l’impatto della crisi, ora mostrano numeri di fallimenti in calo di oltre il 12 per cento.
Rispetto al totale delle imprese esistenti le percentuali più elevate di default si trovano nei prodotti intermedi, nel sistema casa e nella meccanica, mentre i rischi sono praticamente trascurabili nell’ambito del largo consumo.
Spostandosi su base territoriale, il tasso di insolvenza più elevato è per l’Umbria, con nove fallimenti per ogni diecimila imprese, dato su cui sembrano pesare soprattutto le difficoltà dell’area di Terni. All’estremo opposto la Basilicata, con un tasso di appena 2,2 per ogni diecimila imprese.
Se portare i libri in tribunale è un "fallimento" di natura imprenditoriale, la lentezza delle procedure successive è invece un classico default burocratico, che costringe i creditori ad attese bibliche.
La durata media delle procedure, secondo i dati Cerved Group, ha sfiorato il picco di 9 anni nel 2010 per ridursi solo in modo marginale a 8,6 anni nel 2011.
Si tratta comunque della prima inversione di tendenza dopo dieci anni di crescita costante di questo indicatore, partito da quota 5,7 anni nel 2000 per poi salire progressivamente.
Se questa è la media dei tempi per ottenere la liquidazione dei crediti dovuti, ancora più eclatante è l’inefficienza del sistema analizzando gli estremi, dove ad esempio il 17,3% dei fallimenti chiusi nel 2011 si riferisce a imprese entrate in procedura prima del 1996, dunque almeno quindici anni prima. Ampie anche le differenze territoriali, dove tra i dati migliori del Trentino-Alto Adige (5,7 anni) e i peggiori della Sicilia (11,6) vi è una variabilità superiore al 100%. E sono ben cinque, e tutte al Sud, le regioni in cui i tempi medi superano i dieci anni.
«La riforma della disciplina fallimentare – aggiunge De Bernardis – avrebbe dovuto ridurre il carico di lavoro dei tribunali escludendo le microimprese dall’ambito di applicazione. L’ondata di nuovi fallimenti aperti a seguito della crisi ne ha però vanificato l’effetto». Lunghe attese che tuttavia non portano grandi risultati perché il recupero medio è pari al 14% del passivo al lordo delle spese di procedura, cifra per nulla trascurabile.