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 2012  maggio 09 Mercoledì calendario

IL LINGUAGGIO DELL´ESASPERAZIONE

E DUNQUE, a questo punto anche per la storia, varrà la pena di stabilire in via definitiva se l´evento fondante del Movimento 5 Stelle, a Bologna nell´estate del 2007, era intitolato «V-day», o «Vaffa-day» o addirittura «Vaffanculo-day».
C´è poco da scandalizzarsi, essendo ormai l´osservazione giornalistica costretta a fare i conti con questo genere di dilemmi. Per cui nella scelta fra il pudore implicito in quella «V», il vorrei-ma-non-posso dell´accorciamento e la più sonora e sdoganata scurrilità si misura il potenziale non solo espressivo, ma anche politico e antipolitico di una leadership allo stato nascente. Detta altrimenti: come parla Beppe Grillo?
La sua è senz´altro la lingua dell´esasperazione: «Non ce la faccio più», come risuona il ritornello del suo personalizzatissimo inno, «Un Grillo per la testa». Di qui si parte, ma proseguendo si può notare che almeno stavolta questa singolare figura di comico politico e predicatore si è anche trattenuto. In precedenti occasioni, per nominare Napolitano, ha infatti usato una irriguardosa sineddoche chiamandolo: «La dentiera presidenziale». Così come altre volte l´ha ribattezzato Morfeo, come il dio del sonno che «dorme, dorme, poi di colpo di sveglia e monita». Oppure «digrigna la dentiera»
«Monitare» sa di beffardo neologismo; ma anche senza tirare in ballo il Quirinale, con temeraria fantasia Grillo ricorre a «fanculare» e anche a «fanculizzare». Ciò nondimeno - strano a dirsi - sembra lui stesso più che suscettibile; sul suo blog riporta meticolosamente ogni insulto ricevuto, e da chi, e ancora dopo la vittoria ha scritto: «Vengo offeso tutti i giorni in tutte le maniere, mi chiamano il pifferaio magico, l´arruffapopoli, mi dicono demagogo, maiale, stronzo, non riescono più a trovare epiteti per definirmi. La verità è che hanno paura».
Questo può essere. Ma bisogna anche riconoscere che nessuno in Italia conosce più e meglio di Grillo l´arte di offendere i protagonisti storcendone i cognomi o inventando nomignoli, come pure ridicolizzando l´aspetto e i tic dei suoi nemici. Ed ecco «Rigor Montis», «lo Psiconano», che sarebbe Berlusconi, «il Castoro della libertà» (Alfano), «Azzurro Caltagirone» (Casini), «il Nano Bagonghi con gli occhialini rossi» (Maroni, pure detto «l´Intimissimo di Bossi»). Una volta, ospite a pranzo all´ambasciata americana, Grillo si è compiaciuto - «Belìn, che emozione!» - che i padroni di casa sapessero che «Topo Gigio» era Veltroni. Di Gasparri ha detto: «Se lo fissi, ti viene la labirintite». L´elenco potrebbe andare avanti a lungo.
Ma tutto lascia pensare che ieri milioni di italiani siano rimasti colpiti dall´aver egli assimilato i partiti, tutti i partiti «in via di liquefazione» in un´unica e invero spaventosa «diarrea». Anche qui, di fronte alla persistenza della materia bassa nel suo discorso pubblico, la faccenda si fa delicata e complicata. E non solo perché in Italia il campo della volgarità politica è stato da tutti assai ben concimato. Senza ricorrere a Bachtin o alla semantica, si rileva che il linguaggio di Grillo è forse così corporeo da rivoltolarsi nelle sue estreme conseguenze, con il che trova due capisaldi nella merda, da una parte, e nella morte dall´altra. Vedi la frequenza con cui nelle sue invettive menziona «le salme», la putrefazione e altre risorse performative culminate la scorsa estate nella deposizione di cozze marce davanti alla Camera.
Michele Serra ha scritto che trattandosi di un attore professionista, «il linguaggio comico di Grillo lavora sulla sintesi, procede per battute e brutali semplificazioni che possono anche essere fulminanti, ma solo in quel contesto». Ciò che lo ha esposto ad accuse di razzismo, qualunquismo, omofobia, cripto- totalitarismo o condiscendenza con la mafia. Ma lo rende di gran lunga più vero e efficace di tanti guitti e apprendisti stregoni.
Ben altre e scientifiche indagini meriterebbe il «grillese». In mancanza, a orecchio, ci senti dentro: la commedia dell´arte, il più incessante borbottio ligure, la cultura pubblicitaria e televisiva, parecchio Fantozzi, un po´ di Pannella (che non a caso l´ha accusato di copiarlo), un pizzico di Dagospia, echi di chat e anche risonanze futuriste e dannunziane: «Dobbiamo tornare a vivere. Vivere!».
Ma vederlo è ancora meglio perché ha i tempi, ha ritmo, fa smorfie irresistibili, come quando imita Bossi con la bocca storta; o quando in piedi sul palco e urlando come una scimmia arriva a dedicare un mostruoso autoerotismo al ministro Gentiloni, che ha avuto la civettuola debolezza di confessare il suo amore per Liala: «Aaah, Lialaaaa! Lialaaaa!» e via con la mano. Se ne vedranno delle belle, però anche delle brutte.