corriere della sera online 9 mag 2012, 9 maggio 2012
LA DENUNCIA DI ABITI PULITI
«Salari da fame per gli operai che cuciono
gli abiti di atleti e volontari di Londra 2012»
Paghe da 2 euro al giorno per chi confeziona tute e scarpe L’allarme arriva da Cina, Sri Lanka e Filippine
Una fabbrica nelle Filippine che produce per la Adidas (www.play-fair.org)
MILANO - Guai Li-shan ha 19 anni e lavora nella provincia di Guangzhou in Cina. Si alza alle 8, sta in fabbrica fino alle 21 tutti i giorni, sabato e domenica compresi. Alle 22 crolla a letto esausta e ogni tanto salta un pasto per mettere da parte qualche soldo. Guadagna 200 dollari al mese. E cuce le tute e le magliette per gli atleti e i volontari dei Giochi olimpici di Londra 2012. Salari da fame, straordinari forzati, nessuna tutela. Con l’obbligo di stare alle macchine giorno e notte per finire i capi d’abbigliamento in tempo per la consegna. Non va meglio in Sri Lanka: nei capannoni a nord di Colombo dove si confezionano le scarpe per i principali marchi sportivi, il salario è di 79 dollari al mese e i turni durano anche 15 ore. Nelle Filippine, poi, una compagnia che fattura 775 milioni di dollari all’anno paga stipendi da fame ai suoi dipendenti costringendoli a rivolgersi agli usurai.
DALLA NIKE ALLA SPEEDO - Niente Fair Games, dunque, anche per Londra 2012. A denunciare ancora una volta gli effetti devastanti della delocalizzazione della produzione delle griffe è l’ong Abiti Puliti che ha esaminato le condizioni di lavoro di 10 fabbriche di abbigliamento sportivo in Cina, Sri Lanka e Filippine, intervistando un totale di 175 lavoratori. Gli operai lavorano per stabilimenti in cui viene appaltata la produzione di noti marchi sportivi, come New Balance, North Face, Columbia Sportswear Company, Next, Nike, Speedo e Ann Taylor, tutti sponsor sia del merchandising destinato ai consumatori, sia delle divise che saranno usate dagli atleti e dai volontari dei Giochi di Londra.
PETIZIONI ONLINE -Nel rapporto stilato, oltre alle drammatiche condizioni retributive, emerge che i benefici di legge che spettano ai lavoratori sono costantemente negati attraverso l’utilizzo dei contratti a termine. E non solo. I lavoratori sono costretti a fare straordinari sotto minaccia di licenziamento. In tutte le fabbriche infatti non esiste un sindacato riconosciuto con rappresentati dei lavoratori credibili. Il che si traduce in salari bassi, molla che spinge le big companies a delocalizzare la produzione in paesi dove non esistono leggi troppo severe contro lo sfruttamento e dove la povertà abbassa notevolmente il livello dei salari. E se la situazione non è certo nuova, per cercare di risolverla è stata lanciata una campagna di sensibilizzazione dal titolo The Play Fair Campaign, cui è possibile aderire sottoscrivendo una petizione.
8 maggio 2012 (modifica il 9 maggio 2012) cds