Roberto Mussapi, Avvenire 08/05/2012, 8 maggio 2012
CALLIGRAFIA, MA CHE IMPORTA IN LEOPARDI
La perizia calligrafica continua a essere indispensabile in molti procedimenti investigativi e penali. Non ha più il dominio assoluto di un tempo: le intercettazioni telefoniche, i controlli sui tabulati di cellulari e computer, concorrono a tali indagini. Ma la scrittura di un individuo resta sempre un dato importante per la ricostruzione della sua personalità, e anche delle possibili alterazioni psichiche provate in determinati momenti. La firma è ancora fondamentale sugli assegni e sigilla le carte di credito: che le parole «dette» volino e quelle «scritte» permangano («verba volant scripta manent»), è una realtà che, nonostante mutamenti epocali, non cambia. L’ambito della grafologia, la disciplina che interpreta la scrittura, si è comunque ristretto: non potremo più leggere i testi e le correzioni dei poeti e degli scrittori di oggi, che scrivono direttamente al computer. Non vedremo più le correzioni ai Canti apportate da Leopardi, o quelle alla Terra desolata dallo stesso autore, Eliot, e dall’amico Pound invitato a dargli una mano a tagliare e correggere. Il ’Fondo manoscritti’ di Pavia, orgoglio della grande studiosa Maria Corti, dove si raccolgono le prime stesure a mano di opere da Foscolo ad autori del secondo Novecento, resterà un nobile monumento alla memoria. Ma in ultima analisi non è un danno irreparabile: a noi interessa che cosa sono i Canti di Leopardi e La terra desolata di Eliot, nella forma in cui sono arrivati a noi. L’analisi calligrafica riguarda una nicchia di studiosi (importante e benemerita), non il mondo che deve trovare le risposte nei versi dei poeti, e basta.
E l’analisi calligrafica non può scomparire per questo, essendo inscindibile dalla lettura di una parte altrimenti invisibile di noi, non meno di una radiografia o ecografia: come queste infatti sa leggere dentro di noi, in quella zona a cui nessuna radiografia o ecografia può giungere, lo spazio misterioso della psiche, nel senso antico e profondo di Anima. Certo, con minore affidabilità, essendo più ampio lo spazio di interpretazione.
Leggere la scrittura, di Barbara Majnoni d’Intignano (Castelvecchi, pagine 222, euro 13,50), è, in questa prospettiva, più di quanto dichiari il sottotitolo ( manuale pratico di grafologia ), pur mantenendo quanto promesso. Iniziando il lettore ai fondamentali della grafologia ci introduce con un felice excursus antropologico e poi storico al rapporto dell’uomo con la scrittura, dai camuni, per ottomila anni, fino all’Età del Ferro, con i loro pittogrammi, ai Maya, con la scrittura a rebus, ai cinesi con quella scrittura ideogrammatica, parte fonetica parte di segni, ai geroglifici egiziani. Fino alla storia della scrittura nell’età moderna, alla relazione tra questa e il gusto nel barocco e nell’illuminismo, e fino, cosa fondamentale, alla nascita della grafologia come disciplina, a opera di filosofi prevalentemente tedeschi, le cui ricerche verranno sistematizzate dal sacerdote Girolamo Moretti, pienamente a cavallo tra i due secoli (1879-1962). Il libro passa poi a una parte pratica consistente nell’analisi della scrittura di personaggi celebri, che abbiamo assai gradito in questo mondo, come Giovanni Paolo II o di cui avremmo volentieri fatto a meno, come Adolf Hitler, oltre a protagonisti viventi della cultura e dell’industria e della politica che si sono simpaticamente prestati, da Gino e Michele a Rocco Buttiglione, da Giorgio Albertazzi a Fausto Bertinotti (unica pecca: avrei preferito più artisti e meno personaggi pubblici o televisivi), collaborando a questo notevole studio dei rapporti dell’uomo con se stesso attraverso la parte più segreta e spontanea, la scrittura, il desiderio di mandare un segno a un altro, affinché sia letto e perduri.