Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 8/5/2012, 8 maggio 2012
PER I MERCATI LE ELEZIONI ORMAI CONTANO POCO - I
primi exit poll del voto dei mercati sono arrivati nella notte dall’Asia. Il cambio tra euro e dollaro tocca i minimi da febbraio, sotto il peso della vittoria di François Hollande e delle incertezze sulla Grecia. Poi lo scrutinio dei mercati prosegue e i segni positivi (Milano + 2,29) delle principali Borse confermano il verdetto: nessun allarme, nessun crollo come quello seguito all’elezione del socialista François Mitterrand, nel 1981. Ma neppure entusiasmo.
NELLA CRISI del debito è comparsa la variabile democratica. Ma anche nella democrazia si è insinuata l’ingerenza dei mercati, sia attraverso il loro giudizio immediato (le quotazioni della Borsa) che di lungo periodo (il mercato obbligazionario). Hollande ha vinto consapevole che un voto di sfiducia dei mercati avrebbe tolto molto entusiasmo ai francesi che lo avevano scelto pur consapevoli che per l’Economist e il mondo che rappresenta il leader socialista è “il piuttosto pericoloso Monsieur Hollande”. La Borsa di Parigi saluta il successore di Sarkozy con un rialzo dell’ 1,23 per cento. Gli speculatori si sono convertiti al socialismo? Ovviamente no, ma i mercati ormai si muovono più velocemente della politica, non aspettano il voto degli elettori per formulare le proprie considerazioni.
Per l’agenzia di rating Standard & Poor’s l’elezione di Hollande “non ha impatti immediati sul rating” (e ci mancherebbe), ma la Francia ha comunque una possibilità su tre di vedere il suo debito declassato ancora nel 2013, dopo la recente perdita della tripla A.
GLI ANALISTI di Société Générale invitano a “distinguere tra la direzione della policy e l’impatto macroeconomico della policy”. Un conto è quello che Hollande vorrebbe, altro quello che riuscirà a ottenere. Gli investitori sanno che nessuna persona sana di mente, oggi, chiederebbe ulteriore rigore in Europa. Infatti sui mercati ieri ha pesato, probabilmente quanto le elezioni francesi, l’annuncio del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble che il governo di Angela Merkel è pronto a valutare un aumento dei salari dei lavoratori tedeschi. E se riparte la domanda interna della Germania (che ora vive di esportazioni, sempre più verso l’Asia), torna anche un po’ di crescita in Europa. Hollande proverà a ridiscutere, entro giugno, il trattato inter-governativo del Fiscal Compact, imposto da Berlino. Ma gli operatori sono più smaliziati degli elettori francesi, sanno che anche cambiando il Fiscal Compact resterebbero i vincoli di bilancio già in vigore previsti dalla combinazione di direttive e trattati nota come Six Pack (pareggio di bilancio e riduzione del debito di un ventesimo all’anno per la parte che eccede il 60 per cento del Pil). Al massimo ci sarà un protocollo aggiuntivo relativo alla crescita. Ma niente rivoluzioni. E Angela Merkel, nel dubbio, ha ribadito ieri che il cuore di rigore del del Fiscal Compact non è in discussione.