Maria Teresa Cometto, CorrierEconomia 07/05/2012, 7 maggio 2012
FACEBOOK. IL SOGNO DI MARK: 100 DOLLARI PER OGNI AMICO - I
n dieci giorni di roadshow — da oggi, 7 maggio al 17, quando sarà fissato il prezzo definitivo dell’Ipo — si capirà quanto è alta la febbre degli investitori per accaparrarsi un pezzetto di Facebook, il social network fondato nel 2004 da Mark Zuckerberg che, a 27 anni, ne è tuttora il leader assoluto e l’azionista di controllo.
La decisione — sua e del pool di banche che curano l’Ipo (Initial public offering) e che sono guidate da Morgan Stanley, J.P. Morgan e Goldman Sachs — di fissare a 28-35 dollari il possibile prezzo per azione contro un’attesa del pubblico per 40 dollari può attirare ancor di più l’interesse degli investitori. Se c’è molta domanda, alla fine del roadshow i collocatori possono alzare il prezzo a un livello vicino ai 44 dollari di quotazione raggiunti sui mercati non ufficiali (SharesPost e SecondMarket) fino al mese scorso. Oppure lasciarlo più basso per facilitare un forte rialzo al debutto in Borsa, previsto il 18 maggio al Nasdaq con il simbolo FB e non rischiare di deludere il pubblico.
Matricole deludenti
Meno della metà delle società che fanno affari via Internet e che si sono quotate negli ultimi 18 mesi sono infatti quotate oggi sopra il prezzo dell’Ipo (vedere tabella). È in rosso anche Zynga, la dot.com specializzata in giochi «sociali» come FarmVille, che ha generato il 15% del fatturato di Facebook nel primo trimestre di quest’anno e il 19% nel 2011. I suoi utenti sono «amici» su Facebook, ma il loro entusiasmo per i prodotti di Zynga è in calo — mentre diventano popolari altri videogiochi di startup finora sconosciute (vedi articolo a pagina 38) —, il che fa riflettere sulla stabilità del modello di business del settore «social media» di cui Facebook è il campione.
I dati
Oggi la «rete» di Zuckerberg fa soldi soprattutto con la pubblicità, che ha rappresentato l’84% del fatturato 2011; e il suo potenziale di guadagni dipende da come riuscirà a sfruttare la miniera di informazioni sui gusti e i consumi di quasi un miliardo di «amici» connessi. L’anno scorso il fatturato era cresciuto dell’88% sul 2010, con un margine altissimo dei profitti operativi, circa il 50% sullo stesso fatturato e con investimenti capitali (in macchinari, infrastrutture, eccetera) relativamente bassi (30% del fatturato). Ma nei primi tre mesi il tasso di crescita del fatturato è calato parecchio (+45%), mentre le spese sono aumentate e quindi i profitti sono calati (-12% sullo stesso periodo del 2011).
Le sfide
Un rallentamento è naturale per una startup di questo tipo. Ma il problema è capire quanto gli affari di Facebook devono comunque crescere per giustificare il prezzo dell’Ipo: anche a 85-95 miliardi di dollari di capitalizzazione — l’equivalente di 28-35 dollari per azione — significa pagare 15-17 volte il fatturato 2012 (se tiene l’attuale ritmo e arriva a 5,4 miliardi di dollari), un prezzo molto salato, il triplo per esempio di Google, la dot.com con cui è spontaneo fare confronti.
Google ha impiegato sette anni a decuplicare il suo fatturato dal 2004, quando si era quotata in Borsa. Facebook può in teoria crescere allo stesso modo raggiungendo 36 miliardi di fatturato nel 2018, ma per giustificare i 100 miliardi di dollari di capitalizzazione sognati da molti investitori dovrebbe mantenere gli attuali margini di profitto e far scendere invece le spese capitali dal 30 al 5%, hanno calcolato gli esperti di «Lex» sul Financial Times.
A seconda di come si proiettano queste variabili, il valore attuale di Facebook cambia radicalmente: può essere di «appena» una trentina di miliardi di dollari se per esempio il fatturato cresce «solo» a 29 miliardi, mentre cala il margine di profitto e le spese restano sostenute.
Valutazioni
Giocare con i numeri è un esercizio utile per capire quanto è difficile stabilire il «prezzo giusto» in un business di questo tipo, dove le due variabili davvero importanti — il genio di Zuckerberg e i gusti degli utenti — sfuggono al controllo degli analisti e degli investitori. Gli utenti sembrano intrappolati nella «rete» di Facebook, dove hanno immagazzinato relazioni e ricordi faticosi da ricostruire su un altro network: ma se a un certo punto decidono che Facebook non è più cool (di moda) o è diventato una minaccia seria alla loro privacy, possono benissimo abbandonarlo come è successo in passato a MySpace (caso citato nello stesso prospetto informativo dell’Ipo di Facebook).
Zuckerberg deve far rimanere «indispensabile» Facebook e insieme inventare una nuova formula di pubblicità che non dia fastidio agli utenti e convinca le aziende a investirci più soldi. Ci sta provando con le inserzioni legate al «contesto sociale», che usano cioè le raccomandazioni degli «amici» per promuovere un marchio o prodotto. Ma i risultati sono molto difficili da misurare.
«La pubblicità sui social media è qualcosa di sexy e piace ai clienti, che però stanno cominciando anche a chiedersi qual è il valore dei loro investimenti», ha detto a un convegno Martin Sorrell, il capo di WPP, l’agenzia pubblicitaria più grande al mondo. Se lo chiedono anche gli investitori di Wall Street senza sperare in una risposta da Zuckerberg che forse non parteciperà neppure a tutti gli appuntamenti del roadshow.
Un modo per ribadire la sua «distanza» dalla Borsa, dove è stato «costretto» a quotarsi dalle regole Sec (l’autorità Usa di controllo) e per far contenti i dipendenti ed azionisti della prima ora (desiderosi di liquidare i loro pacchetti di titoli), mantenendo però un controllo assoluto sulla società, impermeabile alle pressioni del mercato. Un’altra caratteristica, questa, da tenere in considerazione per decidere se diventare suo socio «dormiente».
Maria Teresa Cometto