Monica Ricci Sargentini, Corriere della Sera 07/05/2012, 7 maggio 2012
ERDOGAN: «SONO PRONTO A RICHIEDERE L’INTERVENTO MILITARE NATO IN SIRIA» —
La faccia di Erdogan sorride da ogni angolo della strada. «Benvenuto» si legge sugli striscioni. Il primo ministro turco è ad Adana, nel sud del Paese, per inaugurare un nuovo ospedale e parlare al Congresso provinciale del suo partito, l’Akp, al governo dal 2002. Bacia un paio di bambini, saluta la folla, stringe mani, mangia il cibo che gli viene immancabilmente offerto. Recep Tayyip Erdogan è il solito fiume in piena, un istrione in perenne movimento. Camicia celeste, giacca a quadri, nonostante il caldo, il leader del partito filo-islamico appare in grande forma dopo l’operazione dello scorso febbraio: «Sta talmente bene — dice un suo stretto collaboratore — che non riusciamo a stargli dietro». Accanto a lui, come sempre, la figlia Sümeyye e la moglie Emine, entrambe elegantissime, il viso incorniciato dal velo. L’intervista esclusiva con il Corriere della Sera comincia sull’aereo che ci riporta ad Ankara. Sono ormai le otto di sabato sera. Domenica Erdogan si sposterà al confine con la Siria per visitare il campo rifugiati di Kilis, poi partirà per la Slovenia, infine per Roma dove è atteso stanotte.
Il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu nel suo ultimo discorso ha detto che la Turchia guiderà l’onda del cambiamento in Medio Oriente. Lei aspira a diventare il leader della regione?
«Non siamo nella posizione di guidare o di essere i leader del cambiamento in maniera sistematica ma forse ci sono persone che sono ispirate dai passi che abbiamo compiuto. La Turchia non è uno stato religioso ma una repubblica parlamentare funzionante. Abbiamo dimostrato che Islam e democrazia possono convivere. Se ci sono dei regimi autocratici che opprimono il popolo, allora la gente cercherà di cambiare e noi possiamo mostrare loro la strada per farlo, cioè quella del sistema parlamentare. Finora siamo stati disponibili con chi ci ha chiesto consiglio».
La situazione in Siria sta degenerando e sono migliaia i profughi che hanno cercato rifugio nel suo Paese. Secondo lei c’è ancora un futuro per Assad? State valutando seriamente l’opzione militare?
«Il regime di Assad è finito. Ci sono stati 10mila morti, 25 mila rifugiati in Turchia, 100 mila in Giordania. Se un Paese opprime la sua stessa gente, la attacca con i cannoni e i carri armati, se, come conseguenza, centinaia di migliaia di persone fuggono, dov’è la giustizia? Noi condividiamo con la Siria un confine lungo 900 chilometri. E abbiamo sempre avuto legami di grande amicizia. Sfortunatamente Assad non ha onorato la nostra fiducia. Quando le cose si sono cominciate a muovere in Tunisia l’abbiamo avvisato. Gli abbiamo detto: scegli la via giusta, lascia che nascano i partiti politici, apri la strada alla libertà, rilascia i prigionieri politici, ferma la corruzione. Ora la situazione è molto grave. Finora siamo stati pazienti con la Siria ma se il governo commetterà ancora degli errori alla frontiera questo sarà un problema della Nato come recita l’articolo 5. Assad non ha mantenuto nessuna delle promesse fatte ad Annan. Le uccisioni continuano. Il Consiglio di sicurezza dovrebbe prendere la cosa più seriamente. La Ue non dovrebbe rimanere un osservatore esterno. Se penso a un intervento armato? Questo non è solo un problema della Turchia. Servono passi comuni del Consiglio di sicurezza, della Lega araba».
Quattro anni fa le relazioni tra Turchia e Israele erano molto buone e rappresentavano una speranza per l’intera regione, oggi quei rapporti sembrano essersi compromessi per sempre. È impossibile ricucire?
«È vero, la Turchia era il più importate alleato di Israele nell’area ma loro hanno fatto dei grandissimi errori nei nostri confronti. L’attacco di Israele alla nostra Flotilla di aiuti umanitari non può essere perdonato. È avvenuto in acque internazionali. Nove persone sono morte e sui loro cadaveri c’erano più di 30 proiettili, anche sparati da vicino. Abbiamo dettato a Israele delle condizioni: vogliamo scuse pubbliche, un risarcimento per le famiglie delle vittime, la fine dell’assedio di Gaza. Oggi Gaza è ancora bloccata e a volte viene pure bombardata. Se non saranno soddisfatte queste condizioni le nostre relazioni non si normalizzeranno mai».
Ankara oggi sembra guardare sempre più ad Oriente. Cosa ne è delle ambizioni di entrare nell’Unione Europea? Lei lo considera un capitolo chiuso?
«No, questo è fuori questione. Come lei sa nel 1996 siamo diventati parte dell’unione doganale, una cosa che di solito si ottiene solo quando si è già membri Ue a pieno titolo. Ora, però, i Paesi membri della Ue fanno di tutto per non lasciarci entrare. Perché? Siamo l’unico Paese musulmano nella Nato ma questo non danneggia le nostre relazioni con i Paesi del Medio Oriente con i quali abbiamo valori in comune. Le assicuro che faremo di tutto per diventare membri della Ue. Ma loro non mantengono le promesse. Spero che la smettano di fare questi errori e che colgano al volo l’opportunità di diventare un grande attore globale accogliendoci nell’Unione».
E i rapporti con l’Italia? Lei sta per venire a Roma, dove incontrerà il premier Mario Monti. Quali sono le prospettive future di collaborazione politica e commerciale?
«Durante il summit in Corea del Sud ho già avuto modo di incontrare Mario Monti e la sua delegazione. Per me questo vertice intergovernativo ha un’importanza particolare, porterò 8 o 9 ministri e ognuno avrà anche colloqui indipendenti con il suo omologo. Lo scopo è di aumentare il commercio tra i due Paesi che già raggiunge i 21,5 miliardi di dollari. Una cifra buona ma ancora insufficiente. In Turchia ci sono 900 compagnie italiane e dal 2002 sono cresciute di numero nonostante la crisi. Vogliamo migliorare ancora».
Il 23 aprile lei è andato a un ricevimento ufficiale in Parlamento con sua moglie Emine che indossava il velo. E facendolo ha rotto un tabù. Il velo è una minaccia allo Stato secolare?
«Uno Stato secolare non esclude la libertà di religione. Il secolarismo mantiene la stessa distanza da tutte le fedi. Invece in Turchia è stato usato come uno strumento di oppressione dei musulmani ledendo anche il loro diritto all’educazione. Noi ora stiamo garantendo gli stessi diritti a tutte le religioni. Io sto cercando di porre rimedio a questa ingiustizia. Perché impedire alle donne di portare il velo? Non c’è alcuna legge del genere negli Usa, in Italia o in molti altri Paesi europei. Penso che la questione sarà presto risolta».
In Turchia ci sono più di cento giornalisti in prigione. Non sono un po’ troppi per un Paese democratico che garantisce la libertà di espressione?
«La cifra è sbagliata, non si tratta di veri giornalisti. Il 90% di queste persone non sono di certo in prigione per quello che hanno scritto ma perché sono legati ad un’organizzazione terroristica. Poco tempo fa in Gran Bretagna hanno arrestato 50 giornalisti ma nessuno ha detto nulla. Se succede in Turchia apriti cielo. È solo propaganda. Io ci tengo alla libertà di espressione più di ogni altro visto che ho subito una condanna penale per aver letto una poesia! I versi non erano illegali, l’autore era un eroe per Atatürk. Per me la libertà d’espressione è un diritto inviolabile. Su questo argomento non ammetto deroghe».
Monica Ricci Sargentini