Sergio Rizzo, Corriere della Sera 07/05/2012, 7 maggio 2012
REGIONE CAMPANIA, LA TRAPPOLA DEI DEBITI E QUEI 35 MILA DOCUMENTI ASL DIMENTICATI —
L’onda dello «tsunami» (la definizione è del governatore Stefano Caldoro) che incombe sui conti della Regione Campania, e da questa rischia di abbattersi sul bilancio dello Stato, è alta 13 miliardi di euro. Il debito che si è accumulato negli anni è di 10 miliardi e 800 milioni, ma a questa cifra si devono aggiungere altri due miliardi di «disavanzo accumulato», per usare le parole del presidente della Regione. È l’indebitamento strutturale verso le imprese generato dalla crisi di liquidità. Una miccia a combustione rapida: se si considera, hanno scritto nella due diligence depositata il 19 ottobre del 2010 gli ispettori della Ragioneria incaricati di fare le pulci alla gestione decennale della giunta di Antonio Bassolino, che «il mancato pagamento dei fornitori avrebbe determinato maggiori esborsi per oltre 200 milioni di euro l’anno, a titolo di spese legali e interessi». In Campania c’è chi aspetta anche 600 giorni per vedersi pagare la fattura.
I numeri contenuti in una lettera aperta ai cittadini di Gaetano Giancane fanno accapponare la pelle. Il generale della Guardia di Finanza che Caldoro ha nominato assessore al Bilancio scrive «per evitare affermazioni generalizzate e contribuire a un tentativo di chiarezza» che negli ultimi due anni la spesa corrente della Regione Campania si è ridotta di 600 milioni. Aggiunge che il disavanzo della sanità è stato ridimensionato dai 774 milioni del 2009 ai 251 del 2011. Concludendo che si tratta «della migliore performance» registrata in Italia.
Ma il debito, quello è un macigno capace di azzerare tutto: costa 808 milioni l’anno per trent’anni. Una somma mostruosa, in rapporto al volume dell’indebitamento. Durante un decennio, dice la Corte dei conti, l’esposizione debitoria della Campania è cresciuta al ritmo di 670 milioni l’anno, dei quali 570 soltanto per coprire spese regionali diverse da quelle della sanità.
Caldoro, da due anni al timone di una giunta di centrodestra, sostiene che sarebbe ingiusto caricare tutta la responsabilità sulle spalle del suo predecessore di centrosinistra, Antonio Bassolino. Afferma che il deficit sanitario della Campania è conseguenza di una ingiustizia storica, concretizzatasi in 64 euro procapite di trasferimenti statali in meno rispetto a quanto sarebbe dovuto: un buco, calcola, di 3 miliardi e mezzo soltanto negli ultimi dieci anni. Già. Ma che quei soldi, per quanto «insufficienti», non venissero spesi nel migliore dei modi, lo dimostra il fatto che per venire a capo dei conti di alcune aziende sanitarie, come quelle di Napoli e Salerno, siano stati nominati commissari due alti ufficiali dei carabinieri. Alla sola Asl napoletana hanno trovato 35 mila documenti contabili da rimettere in ordine.
E poi la sanità, come stanno a provare quei 570 milioni di debiti contratti ogni anno per far fronte alle altre spese, non è certo il solo problema. Diversamente la Campania non sarebbe l’unica Regione italiana sotto doppio monitoraggio. Lo è sia per la spesa sanitaria sia per la parte restante dei conti regionali. Del resto, se come avverte Caldoro non si deve mettere la croce soltanto addosso a Bassolino, non si può allo stesso modo negare che il macigno abbia solide radici in quel decennio. Almeno, se sono corrette le cifre che dà Giancane nella sua lettera aperta. Al netto dei 2.200 milioni di debiti dei Comuni che sono a carico delle casse della Regione, l’esposizione regionale vera e propria aveva raggiunto alla fine del 2009 ben 8 miliardi e 601 milioni: rispetto al 31 dicembre del 1999, quando ammontava all’equivalente di 728 milioni di euro, si era quasi moltiplicata per dodici. Senza interrompere la spaventosa progressione nemmeno davanti ai vari patti di stabilità. È sufficiente leggere il rapporto degli ispettori della Ragioneria Luciano Cimbolini e Vito Tatò, reso noto appunto nell’ottobre del 2010, dov’è scritto che dal 2005 «i bilanci assestati sono risultati sempre superiori rispetto a quelli originariamente approvati». Come pure che la Regione Campania aveva «programmato una quantità di spesa teoricamente sottoposta al patto molto maggiore, per competenza e ancor più per cassa, rispetto agli effettivi vincoli imposti dal patto stesso». Con la conseguenza «che la massa di risorse spendibili nei vari esercizi finanziari sia risultata molto superiore rispetto ai vincoli imposti dal patto di stabilità». Per non parlare dei rendiconti, secondo gli ispettori «fortemente inattendibili» anche «a causa dei residui attivi molto datati, di difficile, se non impossibile, riscossione».
Ecco perché, contrariamente a quanto previsto dalla riforma del titolo V della Costituzione, in base a cui le Regioni si possono indebitare solo per fare investimenti, i debiti erano necessari per alimentare una macchina sempre più costosa e vorace. Con quei soldi ci si pagava tutto: i contributi in conto interessi agli albergatori privati, il rifacimento della segnaletica stradale, eventi come «Benevento città spettacolo» o il «Positano art festival» oppure «Missione sorriso», una campagna di comarketing per favorire l’arrivo dei turisti spagnoli... Si coprivano così perfino le spese del «servizio regionale di monitoraggio e controllo del patrimonio boschivo» fornito dalla società Sma Campania, di cui la Regione controlla soltanto il 49%, e che per quell’attività aveva assunto 568 (cinquecentosessantotto) lavoratori socialmente utili. Da aggiungere, ovviamente, ai circa 4 mila forestali, dei quali ben 2.800 a tempo indeterminato: tutti quanti, ovviamente, retribuiti sempre grazie ai debiti. Dovrebbero essere a carico dei Comuni o delle Comunità montane, invece sono a libro paga della Regione, che già di suo ha 5.910 dipendenti (senza naturalmente considerare quelli delle società regionali): oltre una volta e mezzo quelli della Lombardia, che ha però 4,2 milioni di abitanti in più. E pensare che grazie al blocco totale del turnover la Campania oggi deve far fronte a 1.828 stipendi in meno rispetto al 2009. Allora i dipendenti erano 7.738, di cui 450 dirigenti (oggi sono 356). Fortunatissimi: tutti avevano beneficiato, negli anni precedenti, di generose «progressioni orizzontali», cioè aumenti di stipendio puri e semplici, non collegati ad avanzamenti di carriera. Rarissime le eccezioni. Nel 2005, appena 21.
Caldoro ricorda che dal 2010 è assolutamente improponibile continuare a fare 670 milioni di debiti l’anno per mettere carbone nelle caldaie regionali. Ormai i vincoli, sottolinea, sono diventati «insormontabili». Ma era il minimo. Resta il fatto che senza un intervento violento sul debito il problema non si risolve: gli interessi si mangiano in un sol boccone tutti i risparmi sulla spesa corrente. E il governatore è convinto che «con le sole procedure ordinarie» sia impossibile uscire da questa situazione. Il problema è se esiste o meno la volontà politica per venirne fuori. Giusto qualche giorno fa la maggioranza che sostiene Caldoro ha fatto saltare, insieme a un pezzettino dell’opposizione, una norma che imponeva ai disegni di legge regionali l’obbligo del visto di copertura finanziaria.
Sergio Rizzo