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 2012  maggio 07 Lunedì calendario

HOLLANDE —

Il vincitore si commuove, ascoltando le fisarmoniche suonare «La vie en rose» abbracciato alla sua compagna, sul sagrato di una cattedrale di provincia; al partito i notabili brindano alle poltrone che li attendono; in piazza della Bastiglia esplode la gioia dei ragazzi di Parigi; mentre la metà della Francia che ha votato Sarkozy si morde le mani, e i tanti che hanno scelto Hollande per la sua normalità sentono di aver eletto non il presidente della Quinta Repubblica, ma l’amministratore di una provincia d’Europa.
È un altro Maggio francese a segnare la storia del continente, dopo quello del 1968 chiuso dalla restaurazione gollista e quello del 1981 segnato dalla vittoria di Mitterrand. Trentun anni fa, alla Bastiglia si incontrarono le élite parigine e i popolani venuti dalle periferie, molti con una rosa rossa nel pugno. La sinistra era ancora operaia, e il poeta comunista Louis Aragon commentò: «Per una volta la Gauche non si riunisce dietro una bara» (Aragon morì l’anno successivo). Ora gli operai votano in maggioranza per Marine Le Pen, il Ps è un partito di insegnanti e funzionari; la vera novità rispetto all’81 è la festa multietnica. Senegalesi e algerini si abbracciano, sconosciuti si versano da bere l’un l’altro, ci si bacia sulla bocca tra maschi e tra femmine; poi tutti insieme si tengono per mano e intonano cori contro lo sconfitto – «Sarkozy c’est fini!» — più che per il vincitore.
Ora il volto pingue di François Hollande compare al maxischermo, davanti alla cattedrale di Tulle. Il nuovo presidente tenta di darsi un profilo solenne, nazionale: «Noi non siamo un Paese qualunque sul pianeta, una nazione qualunque del mondo. Noi siamo la Francia. E non esistono due France, la Francia è una sola…».
Ripete le parole di Mitterrand: «Sarò il presidente di tutti». Poi si lascia trasportare dalla festa, e ritrova la sua ironia: «L’ho fatta restaurare io, questa piazza, quand’ero sindaco. Alla fine è tornata utile. Se avessi immaginato che un giorno… ma sì, che l’avevo immaginato!». Niente marsigliese. Dopo «La vie en rose», le fisarmoniche suonano «Bella ciao».
Tulle non è casa sua. Hollande è nato il 12 agosto 1954 a Rouen, in Normandia. Ha fatto il liceo a Neuilly, il sobborgo parigino dov’è cresciuto anche Sarkozy. Poi Sciences Po e l’Ena: le scuole dove si formano i politici, che si scelgono un feudo di provincia dove farsi eleggere e passare piacevoli weekend enogastronomici. Hollande ha scelto il capoluogo della Corrèze, per ragioni di visibilità: qui alle legislative del 1988 sfidò il premier uscente, Jacques Chirac. Perse, ma si fece notare. Ieri pure Chirac ha votato per lui, in odio a Sarkozy: come milioni di francesi non di sinistra, compresi molti elettori di Marine Le Pen, che non sopportavano più il vecchio presidente.
«Piccolo fascista ungherese!», grida a pieni polmoni un ragazzo antillano: giudizio ingeneroso, persino razzista, che però genera un applauso sotto la colonna della Bastiglia. Qui sorgeva la prigione simbolo della tirannia, qui sono sepolti i resti dei martiri del luglio 1830, la rivoluzione che abbatté i Borboni e ispirò a Delacroix la tela politica per eccellenza: «La libertà che guida il popolo». Stasera i tricolori sono molti ma si perdono nella folla delle bandiere. Ognuno ha portato la sua: rossa, arcobaleno, europea, palestinese; visti anche il vessillo del movimento gay e quello bretone.
La sera del 10 maggio 1981 Mitterrand in piazza non si fece vedere. Rientrato anche lui dalla campagna, prenotò per festeggiare con i suoi cari un intero piano della vicina brasserie Bofinger, poco meno costosa di Fouquet’s, dove Sarkozy brindò cinque anni fa. Hollande è attento a non cadere nello stesso errore. Il suo primo provvedimento sarà abbassarsi lo stipendio del 30%. A Parigi lo porta un aereo privato, ma all’aeroporto di Tulle va su un’utilitaria grigia. Appare quasi spaventato dalla ressa delle telecamere. Ripete: «Avrò due preoccupazioni, i giovani e l’uguaglianza». Dice di «avvertire il sollievo di tanti europei per cui ora l’austerity non è più una fatalità».
Il suo ingresso all’Eliseo segna non solo un cambio di stile rispetto a Sarkozy, ma anche un passaggio generazionale a sinistra. Mitterrand si faceva dare del tu solo dai compagni di prigionia nel lager nazista in Turingia, anche Jospin preferiva il «voi»; Hollande dà e si fa dare facilmente del tu. Quando gli dissero che era stato eletto, Mitterrand stava parlando alla giovane Anne Sinclair — futura sposa di Dominique Strauss-Kahn — della sua amata foresta di Morvan. Si interruppe per un attimo, si preoccupò che ci fosse champagne per tutti, e riprese la conversazione dove l’aveva lasciata. Hollande è saltato in piedi, le braccia al cielo, circondato dai collaboratori e dal primogenito, Thomas, in lacrime. Ha ricevuto i complimenti da Sarkozy, ha chiamato Ségolène Royal, la compagna di trent’anni. Lei stessa ne ha dato notizia alle telecamere: «François è felice ma anche consapevole dell’immensità del compito». Al suo fianco c’è la nuova compagna, truccatissima per l’occasione, Valérie Trierweiler, che si attacca a Twitter: «Orgogliosa di essere al fianco del presidente, felice di dividere la vita con i francesi».
L’altra Francia però esiste, e piange. In senso letterale. A Saint-Germain i militanti hanno ascoltato in lacrime il discorso d’addio di Sarkozy, quasi il commiato di un’artista ai fan: «Grazie per quanto mi avete dato! Vi amo!». Stasera i francesi non hanno scelto un monarca o anche solo un personaggio, ma un funzionario che già la prossima settimana dovrà andare a Berlino a vedersela con la Merkel, prima di volare in America per il G8 e il vertice Nato, dove dirà a Obama che intende ritirare entro l’anno le truppe dall’Afghanistan. Ma il vero obiettivo, lo ripete anche stasera, è «riorientare l’Europa verso la crescita».
Alla Bastiglia arrivano i possibili primi ministri, Martine Aubry e Jean-Marc Ayrault. Il sindaco Bertrand Delanoë annuncia che per la prima volta il candidato di sinistra all’Eliseo ha prevalso a Parigi. Molto acclamati l’ex premier Lionel Jospin e l’ex tennista Yannick Noah, che ora fa la rock star. Si intona Bandiera rossa, in italiano, e si ride: «Da stanotte non si sentirà più cantare Carla Bruni...». Ségolène Royal dà fondo alla retorica — «Saremo la voce dei senza voce, renderemo visibili gli invisibili...» —, poi, quando vede arrivare Hollande con la nuova compagna, si defila.
La folla ora è immensa, almeno 200 mila persone. Per vedere il neopresidente si arrampicano sui cartelli stradali, sugli alberi, sui semafori, sul basamento della colonna. Lui tiene un discorso asciutto, con una sola nota solenne, rivolta «a tutti i popoli d’Europa, perché imitino i francesi, perché vedano che l’austerity non è una fatalità». Poi finalmente si canta la Marsigliese. Alla festa si uniscono i giovani che escono dai locali del Marais e si scambiano spinelli. Gli homeless si stendono sul marciapiede, ci sono anche madri con i figli piccoli. Sarebbe dovuta essere la notte di Strauss-Kahn, ora condannato all’oblio: l’altra sera Hollande ha rimproverato un collega di partito per averlo invitato al suo compleanno. E’ anche un po’ la notte dell’uomo che da sedici anni giace in un cimitero di campagna, a Jarnac, sotto la più semplice delle lapidi: «FRANCOIS MITTERRAND,
1916-1996”».
Aldo Cazzullo