Paolo Isotta, Corriere della Sera 8/5/2012, 8 maggio 2012
Al Cavaliere della rosa (Der Rosenkavalier) scaturito dall’opera congiunta di Hugo von Hofmannsthal e Richard Strauss nel 1911 dopo una gestazione fra loro non priva di contrasti e difficoltà l’anacronismo non è estraneo
Al Cavaliere della rosa (Der Rosenkavalier) scaturito dall’opera congiunta di Hugo von Hofmannsthal e Richard Strauss nel 1911 dopo una gestazione fra loro non priva di contrasti e difficoltà l’anacronismo non è estraneo. Esso risiede nella geniale idea del compositore di tappezzare la Vienna settecentesca di Maria Teresa, ove la trama si svolge, di Valzer ottocenteschi di dichiarata ispirazione dai fratelli Strauss, che Richard amava moltissimo. Oggi è invalsa da parte dei registi la sciocca e fastidiosa abitudine di rappresentare la Commedia per Musica non all’epoca voluta dagli Autori, il che è attestato nei tanti anacronismi pseudo-settecenteschi della partitura, ma ai giorni nostri o all’epoca in cui gli Autori la scrissero: così da poter essi registi, in questo secondo caso, ricorrere ai luoghi comuni e divenuti stantii della Decadenza e della Finis Austriae di che essa Opera sarebbe portatrice. Ben vero, ricorrono nel Cavaliere della rosa profonde meditazioni filosofiche sul Tempo, il che è altro. Ma per togliere ogni valore alla trovata dei registi di spostare l’epoca, basta osservare che se fosse piaciuta a un così formidabile uomo di teatro quale è Strauss l’avrebbe adottata lui. Col Cavaliere della rosa si è aperto, riscotendo un fortissimo successo, il Maggio Musicale Fiorentino di quest’anno. Nell’allestimento dovuto al regista Eike Gramss, il quale pubblica sul programma di sala pensieri che non piacciono affatto e che rendono persino ingiustizia al suo lavoro effettivo, le epoche della Commedia per Musica, tutte e tre, addirittura si alternano o si mescolano, il che produce un manierismo lezioso aduggiato peraltro, nel lavoro scenografico di Hans Schavernoch, dal solito ricorso al giuoco di specchi. È tanto più un peccato giacché lo spettacolo testimonia di un approfondito e perfetto lavoro di recitazione svoltosi sugli interpreti anche nelle piccole cose, così come nella Commedia per Musica di Strauss l’apporto di figurine e figurette, rispetto ai protagonisti, risulta fondamentale. Farò un esempio ricordando l’ammirevole giuoco di pantomime sul non scritto svolto da Ingrid Kaiserfeld nel ruolo della governante di Sophie, nel II atto. Dal punto di vista della musica, v’era nell’allestimento fiorentino qualcosa di eccelso. Zubin Mehta, legato peraltro al Festival da vincoli particolari, ha diretto il capolavoro per la prima volta nella sua carriera di grande interprete. Lo ha fatto producendo quel lieve senso di melancolia che il capolavoro reca con sé; senza cadere in un’analisi della partitura che fosse fine a se stessa; battendo benissimo, coi suoi appena accennati indugi, quel ritmo di Valzer, mi ripeto, da che tutta la Commedia è pervasa. Il trionfo personale riscosso era tanto più meritato. Non condividerei quello decretato ad Angela Denoke nel ruolo della Marescialla. Il soprano difetta negli acuti e nell’intonazione; e senza sua colpa risulta sgraziata per l’abito e la pettinatura da lei nel III atto costretta a portare, ch’è una orribile di moda ai giorni nostri. Io poi considero non lei, ma il barone Ochs, il protagonista della Commedia: come Richard Strauss. Non dovrebb’essere caricaturale né grottesco né brutto né troppo vecchio, a parte il comico infuso nella sua figura dagli Autori: la sua nobiltà campagnola è pur sempre nobiltà, a onta dell’impresentabile compagnia con cui egli si reca in giro. A Firenze la regia porta Kristinn Siegmundsson, difettoso nel Mi grave del II atto, a calcare un po’ la mano, ma l’artista è sicuramente valido, recita benissimo e viene da una lunga tradizione, come si vede dal suo uso del dialetto che è anche quello della brava Caitlin Hulcup quando Oktavian deve, poi vuole, mettersi nei panni della campagnola cameriera Mariandel. Piace di Sylvia Schwartz il lieve impaccio che mette nel suo monologo del II atto a introduzione del personaggio di Sophie. Eike Wilmschulte è un grande attore nel personaggio di Faninal; peccato sia in smoking; e dovrei nominare tutti gli altri interpreti di un’ottima compagnia...