Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 08 Martedì calendario

NEW YORK —

Facebook, da fenomeno culturale di massa — 900 milioni di utenti nel mondo, 21 dei quali in Italia — ad azienda quotata che deve giustificare il valore che le verrà attribuito: quasi 100 miliardi di dollari se le azioni verranno collocate nella parte alta della «forchetta» (28-35 dollari) annunciata nei giorni scorsi. Fin dal primo giorno del «road show», iniziato ieri nei saloni dello Sheraton di New York, la regina delle reti sociali e dell’economia immateriale, si scontra con la materialità: la ressa delle telecamere e dei curiosi, l’assalto degli analisti, lo slalom tra i ponteggi che avvolgono l’albergo, parzialmente in restauro. E schiera, a protezione, 30 «gorilla» della sicurezza.
Davanti all’hotel sulla Settima Avenue si è radunata una folla da passerella degli Oscar: è trapelata la notizia che a fare gli onori di casa, nella «ballroom», e a parlare davanti a 600 analisti finanziari, sarà proprio il grande capo, Mark Zuckerberg. Ma, visto il muro di telecamere, curiosi e turisti con videofonino, il fondatore di Facebook sceglie un ingresso secondario: quello usato da Bill Clinton quando, a settembre, in questo albergo si svolgono i convegni della Clinton Initiative, l’impresa filantropica dell’ex presidente.
La strada dei tre gipponi neri della società è, però, ostruita da un grosso camion carico di barre d’acciaio che sta entrando a marcia indietro nel cantiere dell’albergo. Alla fine i suv riescono a raggiungere l’ingresso e Zuckerberg, con addosso il consueto «hoodie» scuro, una felpa col cappuccio, e protetto dagli uomini della «security», scivola dentro facendo lo slalom tra i tralicci, i manovali col casco, qualche cronista e i cameraman.
Dentro gli analisti, costretti a un’ora di fila per i controlli, non sono particolarmente felici di rivedere, mentre viene servito il «lunch», il video girato da Zuckerberg e dai suoi collaboratori (Sheryl Sandberg, il direttore generale e il direttore finanziario, David Ebersman) per spiegare l’operazione, e messo in rete giovedì scorso. Segue un botta e risposta. Zuckerberg, che non vuole affidarsi a un manager «adulto» come fecero Page e Brin quando affidarono il timone di Google all’esperto Eric Schmidt, deve dimostrare di essere maturo per guidare una grande corporation e di avere un team all’altezza. Non è detto che in questi giorni che precedono la quotazione (il 18 maggio al Nasdaq, il mercato delle società tecnologiche, dove il 27enne Mark darà il via alle contrattazioni), Zuckerberg riesca a convincere i suoi critici.
Facebook cresce rapidissimamente, ma nel primo trimestre di quest’anno ha visto cadere i suoi profitti rispetto al 2011. Riuscirà, nonostante la battuta d’arresto, non solo a continuare a svilupparsi, ma ad avere il livello di redditività «stellare» necessario per giustificare una capitalizzazione di quasi 100 miliardi? È possibile se la società manterrà la sua posizione dominante nel mercato dei «social network» e se riuscirà a produrre in quello della pubblicità una rivoluzione «sociale» di portata non inferiore a quella che si è verificata quando Google ha cominciato a collegare utenti e inserzionisti al suo motore di ricerca.
Con alle spalle un esercito di 900 milioni di utenti, quella di Zuckerberg non è una pretesa velleitaria. Ma molti analisti pensano che la tenuta di Facebook come protagonista assoluto del mercato dei «social network» non sia garantita nel lungo periodo e che il buon risultato della raccolta pubblicitaria «modello Zuckerberg», dipenderà anche dal livello di collaborazione e coinvolgimento che gli utenti saranno disposti ad accettare, oltre che dalla maturità del capoazienda, criticato da molti per aver pagato 1 miliardo di dollari il sito di «photo-sharing» Instagram. Mark ha difeso la sua scelta, mentre i suoi collaboratori hanno illustrato i fattori anomali che rendono la redditività 2011 non confrontabile con quella di quest’anno.
Intanto, da una conferenza in corso a mille chilometri di distanza, arriva lo scetticismo del leggendario investitore Warren Buffett: «Non comprerò titoli Facebook, ma non dico che non è una buona società, stanno facendo grandi cose. Sono agnostico: come nel caso di Google, trovo difficile stimare il valore di ciò che viene venduto. È una business straordinario ma è difficile valutarlo, capire dove saranno tra qualche anno. Non è la Coca-Cola».
Più generoso il fondatore di Microsoft, Bill Gates, che parla di Zuckerberg: «Ha fatto un lavoro stupefacente. Se mi ricorda com’ero io trent’anni fa? Un po’ sì. Le aziende sono molto diverse, ma lui, come me, è un secchione che lavora un’infinità di ore e che ragiona in modo molto razionale».
Massimo Gaggi