Massimo Gaggi, Corriere della Sera 05/05/2012, 5 maggio 2012
IL MANAGER TAGLIATORE DI TESTE CHE HA MENTITO SULLA SUA LAUREA —
Di aziende decapitate dai reati finanziari commessi dai loro capi (da Enron a WorldCom) o dalle relazioni sentimentali coltivate in ufficio da amministratori delegati accusati di mescolare sesso e potere (da Hewlett Packard a Boeing), in America se ne sono già viste diverse. Ma Yahoo!, una società abituata a stupire da anni con i suoi infortuni e gli errori strategici commessi a raffica, adesso rischia di restare senza guida per un motivo ancor più originale: per un curriculum fasullo.
L’amministratore delegato subentrato nel gennaio scorso a una Carol Bartz licenziata quattro mesi prima con una telefonata, è, infatti, ora sotto tiro per aver inserito nel suo résumé una laurea in computer science che non ha mai conseguito. L’unico titolo di studio di cui dispone, hanno scoperto gli azionisti in lotta contro di lui, è in contabilità. Ed ora chiedono le sue dimissioni immediate e un’indagine sul modo in cui vengono reclutati e controllati i dirigenti del gruppo. L’azienda ha ammesso il falso, parlando di errore involontario. Il riferimento alla laurea è già sparito dalla bio di Thompson disponibile su Internet.
Tempesta in un bicchier d’acqua? Così dicono al quartier generale del gruppo. Ma Daniel Loeb, capo del’hedge fund Third Point che possiede quasi il 6% del capitale Yahoo! (e che chiede invano da tempo di entrare in consiglio d’amministrazione) vuole la sua testa. Il caso, del resto, l’ha provocato proprio lui, andando a indagare sulla carriera accademica di Thompson. E potrebbe anche spuntarla perché mentre in passato, quando era presidente di PayPal del gruppo eBay, la falsa laurea di Thompson era stata depennata dal suo résumé nella copia trasmessa alla Sec (Securities and exchange commission), ora Yahoo! ha mandato all’authority di controllo della Borsa la versione «taroccata» del curriculum. E, come si sa, l’America non perdona chi dice bugie, soprattutto se mente davanti a un’autorità.
Quando era stato scelto, a gennaio, dopo un vuoto durato qualche mese, in molti si erano chiesti chi fosse questo manager 54enne spuntato dal nulla. Nel suo passato quasi solo lavoro sui sistemi di pagamento e i servizi finanziari delle banche: Wells Fargo, Barclays e poi Inovant, che fa supporto e manutenzione per le carte di credito della Visa. Poi, dopo Paypal, il salto verso Yahoo!: società molto più grossa e complessa, ma alle prese con problemi enormi, a cominciare da una vera crisi d’identità.
Gruppo generalista della Rete in un’era di specializzazione, aveva fatto comunque gola a molti per il suo patrimonio di contatti, il suo motore di ricerca, la rete di raccolta pubblicitaria. Ma quando, nel 2008, Microsoft offrì l’incedibile cifra di 44,6 miliardi di dollari per rilevarlo, il board di Yahoo!, sollecitato dal fondatore, Jerry Yang, disse di no. «Troppo poco» fu la replica, «in questo modo svenderemmo la società». Che oggi, a quattro anni di distanza, capitalizza in Borsa appena 18 miliardi di dollari.
Una delle più grandi distruzioni di ricchezza della storia del capitalismo americano: si capisce perché gli investitori abbiano il dente avvelenato. All’inizio del 2009 venne chiamato un nuovo amministratore delegato, Carol Bartz, nella speranza di imprimere una nuova direzione alla società. La Bartz, che confessò subito di non capire nemmeno bene che tipo di società fosse Yahoo!, ha vagato per un anno e mezzo alla ricerca di una strategia convincente. Poi è stata messa alla porta. Appena arrivato il suo successore, Thompson ha annunciato un piano di ristrutturazione che comporta anche l’eliminazione di duemila dei suoi 14 mila dipendenti. Ma, forse, non sarà lui ad attuarlo.
Il passo falso del curriculum, originale ma non privo di precedenti, potrebbe costargli caro. In passato l’amministratore delegato di Bausch & Lomb, Ronald Zarrella si attribuì un master in business administration alla New York University mai conseguito, ma se la cavò con una multa: «Ci ha fatto guadagnare troppi soldi, non possiamo cacciarlo» dissero con franchezza i consiglieri d’amministrazione per giustificare una sanzione tanto mite. Ma Thompson non ha fatto (ancora) guadagnare nulla a Yahoo! ed è imperdonabile che, nell’era della trasparenza totale imposta da Internet, un errore così grossolano sia stato commesso proprio dal capo di un gigante del web.
Massimo Gaggi