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 2012  maggio 05 Sabato calendario

QUANDO IL FISCO RISPARMIA GLI ULTRARICCHI. COSI’ A PARIGI RIVIVE L’ANCIEN REGIME

L’Europa guarda alla Francia e si chiede se il ballottaggio premierà davvero quel François Hollande che in politica estera vuol rivedere i rapporti con la Germania, rigorista sì ma troppo pro domo sua, e in politica interna promette di elevare al 75% l’aliquota fiscale sui redditi superiori al milione di euro. Questo secondo punto solleva in Italia echi bertinottiani. Chi non ricorda Rifondazione comunista che nel 2006 strillava: «Anche i ricchi piangano»? E tuttavia la proposta dei socialisti francesi, che resta tutta da valutare se e quando prendesse forma di legge, ha la sua radice in una ricerca empirica sulla partecipazione dei 50 milioni di francesi adulti al finanziamento della spesa pubblica. Questo lavoro sul campo è stato riassunto in un libro — Per una rivoluzione fiscale, di Camille Landais, Thomas Piketty ed Emmanuel Saez, tradotto in Italia dall’editrice La Scuola con prefazione di Massimo Bordignon ed Enrico Minelli — che ha avuto una larga eco in Francia. Ma il fatto più originale è stata la scelta degli autori di mettere in rete gratis sul sito www.revolution-fiscale.fr un sofisticato simulatore, basato su un campione di 800 mila contribuenti virtuali, per calcolare gli effetti delle possibili riforme fiscali sull’economia e sulle diversi classi di reddito.
Il libro, pur sempre un saggio di economia, ha venduto 50 mila copie nel 2011, ma ben 300 mila sono stati i francesi che hanno sottoposto a verifica online le loro idee di riforma fiscale. Sia detto di passata: simili simulatori sono pochi e alla portata di pochi. Negli Usa funziona presso il Congressional Budget Office. In Francia ce l’ha il governo e gli stessi deputati non vi hanno accesso diretto. Ora, invece, il popolo può simulare a volontà. Partendo dallo stato dell’arte.
Nella Francia del 2010, tasse e contributi assorbono il 49% del reddito nazionale (il prodotto interno lordo meno gli ammortamenti). Il prelievo è composto per il 3% dall’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche ad aliquota progressiva); per il 6% dalla Csg (imposta per la contribuzione sociale generalizzata sui redditi ad aliquota fissa dell’8%); per il 4% da imposte sulle rendite finanziarie, la casa, le grandi fortune e le successioni (imposte ad aliquota basse e soggette a detrazioni); per il 13% dall’Iva; per il 10% dai contributi per l’assistenza sociale per il 13% dai quelli pensionistici e per le indennità di disoccupazione.
Il reddito medio lordo pro capite è pari a 33.300 euro l’anno, ovvero a 2.800 euro al mese. La sua ripartizione per destinazione è schematizzata nella tabella in basso. La pressione fiscale francese è più alta di quella italiana, ma di poco. Sta alla politica stabilirne il livello in ragione di quanto i cittadini preferiscono sia loro assicurato dallo Stato, finanziato attraverso le imposte, e quanto venga invece fatto dal settore privato pagando di tasca propria. Ma si può decidere bene senza conoscere come questo gigantesco fardello pesi sui diversi redditi dei cittadini? La risposta è no. Ma le cifre, come direbbe Marx (nel senso di Groucho), possono far venire in mente idee sulle quali non siamo d’accordo.
Piketty, Saez e Landais documentano come lo 0,1% più ricco dei 50 milioni di francesi adulti, 50 mila fortunatissimi che guadagnano oltre 60 mila euro lordi al mese, paga imposte inferiori al 35% del proprio reddito globale, mentre i 25 milioni dei più poveri, che campano la vita con redditi tra i mille e i 2200 euro al mese, fronteggiano un’aliquota media reale del 45% e i 20 milioni del ceto medio, gente tra i 2300 e i 5100 euro mensili, subisce un prelievo tra il 48 e il 50%. Le classi agiate, 5 milioni di persone con redditi mensili tra i 5200 e i 14 mila euro, la pressione torna verso il 45% per precipitare di oltre 10 punti percentuali per i ricchissimi.
Poveri, ceto medio e la parte bassa delle classi agiate sono tartassati dal fisco in misura sostanzialmente analoga. Come mai le élite si salvano? La risposta sta tutta nella composizione del reddito e nella formazione della ricchezza in relazione alle diverse imposte. Se la progressività riguarda solo l’Irpef e il grosso del reddito dei Paperoni deriva non dal lavoro ma dai rendimento monetario e figurativo di capitale e immobili, ecco che l’arcano si spiega. Il dettato costituzionale occidentale, secondo il quale i cittadini contribuiscono al finanziamento delle pubbliche amministrazioni e dei relativi servizi in misura proporzionale alle loro possibilità, viene riletto nella sua versione più feroce dal punto di vista sociale.
La divaricazione della pressione fiscale a favore dei ricchi ha molto a che fare con la formazione della ricchezza in periodi di bassa crescita. La Francia di oggi ha una ricchezza nazionale (attività finanziarie e immobiliari) pari a 6 volte il reddito nazionale. È un dato di prosperità analogo a quello degli anni della Belle Epoque, quanto era pari a 7 volte. La ricchezza nazionale sale e scende per tante ragioni. Le guerre tendono a distruggerla. Le grandi crisi pure. Ma è interessante notare come la forte risalita della Francia (come di tutta l’Europa) a partire dal 1946 sia stata trainata per i primi trent’anni dalla forte crescita dell’economia e, in essa, dei redditi da lavoro (del banchiere, dell’avvocato e dell’operaio) e per i secondi dalla grande ripresa dei profitti e del rendimento degli affitti (ovviamente anche di quello, figurativo, della prima casa).
Contrariamente a quanto vuole la vulgata, i dati dimostrano che il conflitto tra le generazioni non cancella il conflitto tra le classi, che si riproduce all’interno delle diverse fasce d’età. Il crescente apporto dei redditi da capitale alla formazione della ricchezza provoca la concentrazione dei patrimoni. Ma al tempo stesso il reddito da capitale aumenta il suo peso specifico anche dentro il ceto medio creando una vastissima classe di rentier poveri. Una beffa per le persone, un freno allo sviluppo, un tappo all’ascensore sociale. Insomma, a differenza delle generazioni segnate dalle due guerre mondiali, per le generazioni nate a partire dagli anni Settanta-Ottanta l’accumulazione è sempre più legata al lascito familiare cristallizzato in capitale. Il fattore ereditario — annotano Piketty, Saez e Landais — è tornato a segnare il destino dei giovani come nel secolo XIX. Nell’età in cui si parla tanto di meritocrazia, la Francia della égalité e della fraternité sta ricostruendo l’ancien régime. Anche nel 1788 l’aristocrazia non superava l’1% della popolazione e i realisti avvertivano che a nulla sarebbe servito suscitare l’invidia sociale. L’anno dopo il Terzo Stato assaltò la Bastiglia. Nel secolo XXI privo di Bastiglie, il popolo dei tartassati si disperde nei radicalismi senza pensiero che in Francia hanno ottenuto il 30% al primo turno e in Italia, dove la situazione è complicata dall’evasione fiscale, minacciano di fare altrettanto con le varie Lega, Movimento 5 stelle, Idv e Sel.
Massimo Mucchetti