Ernesto Galli Della Loggia, Corriere della Sera 05/05/2012, 5 maggio 2012
IL MASO CHIUSO DEI CATTOLICI - C’è
nella parabola di Comunione e Liberazione, nella crisi d’immagine e di senso in cui è precipitata, qualcosa in cui si rispecchia un nodo storico cruciale dell’intero cattolicesimo italiano.
Germogliata dal tronco inesausto della fede cristiana, alimentata e cresciuta per la speranza che questa ancora e sempre continua a recare con sé, Cl si è trovata a un tratto a dover fare i conti con la politica. Checché se ne dica e se ne pensi da parte delle anime belle che immaginano il mondo secondo quanto è prescritto dai principi, il destino della politica, la sua vocazione, sono iscritte nel Dna stesso del cristianesimo. Non si combatte impunemente per due, tre secoli l’impero romano; non si decide di uscire dalla dimensione della setta e dell’etnicità per diventare un’istituzione universale; non si decide di stare nella storia e di cimentarsi con il secolo ad ogni istante, sotto ogni cielo e in ogni ambito, senza fare i conti con la politica. Senza essere obbligati a entrare nella sua dimensione.
La scommessa cristiana, in modo specialissimo quella cattolica, è stata però quella di entrarvi senza perdervisi. Fare politica sì, ma salvando l’anima. Una scommessa quanto mai rischiosa, come si capisce.
Alla quale, poi, qui da noi se n’è aggiunta un’altra, non meno impegnativa: divenire parte politica, e addirittura governare lo Stato, l’Italia appunto, alla cui nascita si era stati tuttavia avversi, e alla cui stessa vita e modi d’essere si era sempre guardato senza troppa simpatia. È così che nella formazione del cattolicesimo politico italiano più che in quello di altri Paesi si sono iscritti due tratti tipici: l’orgoglio di un’identità diversa, e un intimo desiderio di rivalsa. Due tratti tipici che la vicinanza della Santa Sede non poteva che rafforzare, e che erano destinati a divenire due tentazioni permanenti: la tentazione della separatezza e quella dell’egemonismo. Apparentemente contrastanti. In realtà l’una la faccia dell’altra: come ha mostrato a suo tempo, in modo paradigmatico la parabola, per esempio, di certa sinistra cattolica, ma non solo. E trattandosi tra l’altro di tentazioni inevitabili per qualunque movimento a sfondo religioso costretto a muoversi in una società ultra secolarizzata, sentita perciò come totalmente ostile.
Comunione e Liberazione ha comunque incarnato entrambe le tentazioni in modo esemplare: la separatezza e l’egemonismo. Animatrice di mille iniziative e proposte lodevoli ma sempre più autoreferenziale, essa ha finito per rappresentare una sorta di «maso chiuso» cattolico piantato nel bel mezzo della società italiana (oltre che forse della stessa Chiesa). Con la quale società italiana essa ha avuto rapporti, naturalmente: rapporti assai vari e anche intensi, ma sempre più percependosi e mirando ad essere una potenza autosufficiente, mossa da una continua volontà di espansione. Ha un bel dire oggi don Carrón, il suo capo spirituale, che a peccare — cioè a commettere i gravi reati a sfondo finanziario per cui alcuni noti esponenti ciellini sono attualmente indagati in Lombardia — sono stati sempre e solo i singoli. È vero, ovviamente. Ma è solo una parte della verità.
L’altra parte è che quei peccati in tanto sono stati resi possibili in quanto i loro sospetti autori appartenevano a Cl, e come tali erano universalmente noti; che come appartenenti a Cl essi erano inseriti nell’ampia rete di relazioni facenti capo ad essa; e che da venti anni, infine — fattore assolutamente decisivo per chiunque non voglia mentire a se stesso — Comunione e Liberazione è parte di fatto ma a pieno titolo della maggioranza di governo della Regione Lombardia, e come tale notoriamente padrona assoluta del settore della sanità. Nella sanità lombarda da vent’anni non si muove foglia che Cl non voglia.
Tutto questo (sempre che non riguardi il codice penale) si chiama per l’appunto egemonismo e bisogno spasmodico di far valere la propria identità. È, come l’ho chiamata, la sindrome del «maso chiuso», che ben lungi dal riguardare solo Cl riguarda però, più o meno, l’intero cattolicesimo politico italiano. Ed è tale sindrome che a mio avviso costituisce oggi il principale ostacolo a che il cattolicesimo politico stesso riacquisti nella Penisola un ruolo effettivo di primo piano. Il voto propriamente cattolico, infatti, riguarda attualmente non più di un dieci per cento circa dell’elettorato. Il che vuol dire che qualunque iniziativa di quel campo che voglia mirare in alto ha la vitale necessità di coinvolgere forze diverse. Deve superare ogni egemonismo, spogliarsi di ogni abito di autosufficienza culturale, bensì avviare un dialogo alla pari con identità differenti dalla propria, insieme alle quali cercare significativi punti di convergenza. Ha bisogno in sostanza di riconoscersi in una autentica prospettiva federativa offerta in modo non strumentale a forze politiche d’ispirazione non cattolica (che siano di destra o di sinistra non cambia la natura del problema). Ha bisogno, sia pure in condizioni oggi diversissime, del realismo e del coraggio di cui seppe dare prova De Gasperi nel 1947-48, allorché mise insieme una coalizione di forze diverse, e la mantenne pure dopo la vittoria del 18 aprile, a dispetto dei fremiti egemonici e delle rivendicazioni identitarie di molti dei suoi. L’alternativa è il ghetto di un’autosufficienza magniloquente, ma in realtà sempre più insignificante e sempre più esposta a ogni degenerazione.
Ernesto Galli della Loggia