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 2012  maggio 07 Lunedì calendario

Notizie tratte da: Giafranco Miglio, Come cambiare. Le mie riforme, Mondadori 1992.L’alternarsi della Dc con partiti minori ora di destra ora di sinistra ha costituito «un surrogato improprio dell’alternanza» (13)La Dc si presentava come il luogo d’incontro di tutte le aspettative «anche le più inconciliabili» (15)In Italia «gli uomini politici non cambiano mai, ma cambiano frequentemente di posto» (21)«Dai tempi più lontani, chi detiene il potere, o lotta per ottenerlo, è dominato da una essenziale preoccupazione: mantenerlo vita natural durante, e possibilmente trasmetterlo a un successore di propria scelta» (25)«Prima di affrontare l’analisi delle singole riforme necessarie, devo mettere in chiaro due pre-condizioni:1 - Forse anche perché si è tardato tanto a rinnovare le nostre istituzioni, oggi non è più possibile immaginare il lavoro di restauro come un "bricolage" da applicare soltanto ad alcune parti secondarie della Costituzione

Notizie tratte da: Giafranco Miglio, Come cambiare. Le mie riforme, Mondadori 1992.

L’alternarsi della Dc con partiti minori ora di destra ora di sinistra ha costituito «un surrogato improprio dell’alternanza» (13)

La Dc si presentava come il luogo d’incontro di tutte le aspettative «anche le più inconciliabili» (15)

In Italia «gli uomini politici non cambiano mai, ma cambiano frequentemente di posto» (21)

«Dai tempi più lontani, chi detiene il potere, o lotta per ottenerlo, è dominato da una essenziale preoccupazione: mantenerlo vita natural durante, e possibilmente trasmetterlo a un successore di propria scelta» (25)

«Prima di affrontare l’analisi delle singole riforme necessarie, devo mettere in chiaro due pre-condizioni:
1 - Forse anche perché si è tardato tanto a rinnovare le nostre istituzioni, oggi non è più possibile immaginare il lavoro di restauro come un "bricolage" da applicare soltanto ad alcune parti secondarie della Costituzione. I ritocchi non servirebbero a nulla. È necessario invece ripensare in modo organico il nostro sistema politico, cambiandone molti dei meccanismi che devono essere ricostruiti, senza timori reverenziali, né paure ingiustificate.
2 - Considerato che - come dimostrerò subito - la repubblica dovrà essere aiutata a diventare "progressivamente" una "Unione federale" (o confederale), l’impegno delle riforme non potrà essere assolto tutto in una volta e d’un solo colpo: la nuova Costituzione dovrà essere il prodotto di un’azione prolungata nel tempo, e potrebbe anche passare attraverso sistemazioni successive» (28)

«Ad una inefficace (e puramente nominale) unificazione statuale si è intrecciata l’impossibilità ormai, per ogni "grande" Stato nazionale, di gestire al meglio, da un centro onnipotente, le crescenti e mutevoli esigenze di vasti aggregati etnico-culturali». I costituenti lo avevano capito, ma ripiegarono su di una «equivoca mezza misura: un ordinamento basato sull’autonomia di venti regioni: troppo piccole per esercitare una funzione di governo, troppo grandi per essere organismi amministrativi» (31)

«Nella primavera dello scorso anno (1990?) la commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati - con un’iniziativa tanto audace quanto inattesa - ha proposto e approvato un piano di riforma delle parti della Costituzione dedicate alle Regioni, in cui si decide di rovesciare l’assetto esistente. Anziché elencare le ristrette competenze delle Regioni, riservando tutto il resto allo Stato, si stabilisce la competenza universale delle Regioni e si indicano, tassativamente, quelle poche che rimangono all’autorità centrale. L’ordinamento risultante è ai limiti di una Costituzione federale: perché si è calcolato che circa il 70 per cento delle risorse finanziarie pubbliche dovrebbe passare alle Regioni» (33).

Federalismo fondato su macro-regioni, dato che le Regioni «nelle dimensioni attuali avranno molta difficoltà a gestire l’universo delle nuove competenze, perché le loro dimensioni e le loro forze sono modeste». Due o tre macro-regioni, più le isole («che godono già di uno statuto fortemente autonomistico»). La procedura per dar vita alle Macroregioni c’è già. Articolo 132 della Costituzione:
«Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d’abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse [cfr. XI].
Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra.»
Sullo sfondo c’è il principio, sancito ad Helsinki, dell’autodeterminazione dei popoli

«Chiamo "federazione" una pluralità di comunità politico-amministrative molto indipendenti, ma stabilmente collegate fra di loro» (36)

Competenze del governo dell’Unione: difesa esterna e, in parte, quella interna (polizia federale); la politica estera generale (perché una certa autonomia in questo campo dovrà spettare ai singoli membri della federazione); la giustizia (tolti i giudici di pace); la finanza generale (quella particolare - risorse da prelevare e spese da fare - sarà invece appannaggio delle Macroregioni). In tutti gli altri campi il governo federale dovrebbe avere solo compiti di coordinamento e di proposta normativa; in luogo dei ministeri i "dipartimenti legislativi". I governi di ciascuna Macroregione, ed il governo dell’Unione, dovrebbero avere lo stesso ordinamento: il loro capo, cioè, dovrebbe essere eletto dal popolo» (37).

«La verità è che un governo autorevole ed efficiente lo si può avere soltanto se: a) si fa scegliere il suo capo direttamente dal popolo; b) si trasferisce al governo stesso (togliendolo al parlamento) un potere normativo sufficiente alla gestione ordinaria degli affari» (45)

Sul capo del governo scelto dal popolo: «il rapporto di rappresentanza è tanto più «fiduciario» (e non «di scambio») quanto più alto è il numero degli elettori e più vasto il collegio elettorale» (46)

«Senza dubbio i governi più forti sono quelli dei regimi "presidenziali" (Usa) o "semipresidenziali" (Francia della Quinta repubblica). Specialmente il secondo modello - con un presidente della repubblica eletto dal popolo, e parzialmente "governante", e un Primo Ministro scelto ed investito dal presidente medesimo» (46-47).

Sistema proposto da Miglio: l’Assemblea può far cadere il Primo Ministro approvando a maggioranza una mozione di sfiducia, contenente il nome del Primo Ministro alternativo. Se la mozione venisse approvata, cadrebbero insieme Primo Ministro e Assemblea: nelle elezioni successive si affronterebbero il Primo Ministro in carica e l’avversario proposto dall’Assemblea. Altro caso: è il Primo Ministro che, per esempio per far passare una legge, mette in modo il meccanismo della fiducia. Se l’Assemblea non riesce in tempo utile a presentare una mozione di sfiducia la legge s’intende approvata. Se il Primo Ministro vuole sciogliere l’Assemblea e andare al voto, l’Assemblea può ancora innescare il meccanismo del voto di sfiducia costuttiva. (48)

«Il punto veramente centrale del modello della Quinta repubblica francese (e della connessa riduzione del Parlamento entro il contesto degli equilibri costituzionali) sta nella rottura del monopolio della funzione legislativa (su cui si basa l’appropriazione del potere da parte del ceto parlamentare). La Costituzione francese, infatti, all’articolo 34, elenca le materie che, per la loro importanza, sono riservata alla legge confezionata in Parlamento (sia nella forma di normazione ordinaria sia nella forma di legge-quadro); con l’art. 37 invece rimette ogni altro oggetto al "règlement" del governo. In tal modo quest’ultimo dispone di quella parte del potere legislativo che gli consente appunto di governare senza dover mendicare ad ogni passo il consenso dei gruppi di pressioni annidati dentro le Camere.
«Due altre regole importanti di quel sistema (che, a mio parere, dovrebbero essere adottate anche da noi) riguardano: a) la inammissibilità delle proposte e degli emendamenti formulati dai membri del Parlamento, quando la loro adozione abbia per effetto o una diminuzione delle entrate o la creazione oppure l’aggravio di un onere pubblico; b) la possibilità per il governo - durante il dibattito in Assemblea su un disegno o proposta di legge - di opporsi agli emendamenti non presentati anteriormente in Commissione, e di chiedere che l’Assemblea si pronunci con un solo voto su tutto o parte del testo in discussione, con gli ementamenti proposti o accettati dal governo stesso ("voto bloccato”).
«A proposito della prima regola, osservo che noi siamo il solo grande Paese d’Occidente in cui il governo non disponsa del diritto di veto contro gli emendamenti proposti dalla Legge di Bilancio (e gli effetti si vedono!).
«Nello spirito del nostro ordinamento si vuole privilegiare la possibilità, per i prartiti, di soddisfare gli interessi delle proprie cosche elettorali, consentendo in ogni momento l’assalto al carrozzone dello Stato; nello spirito della Quinta repubblica, invece, si privilegiano la coerenza e l’omogeneità (e dunque l’efficacia) dell’azione del governo» (53-54).

«[Il presidente della Repubblica] non dovrebbe essere un leader dotato di càrisma politico, ma un altissimo magistrato, piuttosto remoto e rispettato per l’oggettività distaccata dei suoi interventi tecnici. Egli dovrebbe possedere gli stessi requisiti di eleggibilità previsti per i giudici della Corte Costituzionale (si veda più avanti). Dovrebbe essere eletto dalle due Camere (Assemblea legislativa e Senato) riunite in "Assemblea nazionale"; ma questi "grandi elettori" dovrebbero poter scegliere soltanto fra cinque candidati a loro presentati dalla Corte costituzionale, e da questa prescelti fra persone estranee alla Corte stessa. L’Assemblea nazionale dovrebbe scegliere il Presidente (alla maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto) in non più di quattro scrutini e nell’arco di 48 ore; se alla quarta votazione nessun candidato raggiungesse il quorum necessario, il diritto di eleggere il presidente passerebbe alla Corte costituzionale, la quale procederebbe, però, scegliendolo soltanto fra i due candidati maggiormente votati nel quarto ed ultimo scrutinio» (59-60, dove sono indicati anche i poteri, non dissimili dagli attuali)

Sulla Corte costituzionale: «Bisogna prevedere che essa possa sindacare direttamente la rispondenza alla Costituzione di tutte le leggi prodotte dal Parlamento, e di tutti i regolamenti prodotti dal governo e dalle regioni (o dalle macroregioni) [...] Anche i regolamenti interni delle due Camere, e le questioni circa la regolarità delle elezioni dei membri di queste e del Primo Ministro, dovrebbero essere sottoposti, come in Francia, al suo controllo». (65-66)

«Massimo Giannini è convinto che, per rendere la nostra Pubblica Amministrazione meno indecente, ci vorrebbero duri interventi, protratti per almeno due generazioni» (73).

La figura del "procuratore civico", «titolare di una solida funzione d’inchiesta, da esercitare con gli stessi poteri di indagine (e naturalmente gli stessi limiti) dell’autorità giudiziaria. A costui spetterebbe di procedere, d’ufficio o su denuncia, contro i pubblici amministratori elettivi ed i funzionari responsabili di cattiva amministrazione, promuovendo il giudizio nei loro confronti davanti alla Corte dei Conti ed alla giustizia ordinaria». Eletti in ogni Provincia, i procuratori provinciali eleggono i procuratori regionali che poi eleggono il procuratore generale presso la Corte dei conti. «Un reticolo di magistrati in carriera messo in trazione però da un’investitura popolare di base» (74-75)

«Il reticolo dei procuratori civici costituirebbe l’articolazione sul territorio di una Corte dei Conti molto più forte dell’attuale». Consultati per la nomina dei dirigenti (76-77).

«Si dovrebbe fare uso sistematico di una prassi già in nuce nella Costituzione francese vigente: le nomine più importanti dovrebbero essere riservate ai vertici della repubblica, cioè ad un Collegio dei garanti, formato dal presidente della Camera, del Senato e della Corte costituzionale, il quale si riunisca alla presenza del presidente della Repubblica. A questo collegio dovrebbero essere demandate tutte le designazioni che oggi invece sono riservate al parlamento e quindi avvengono, con il "rito spartitorio", per accordi fra i gruppi parlamentari (e quindi fra i partiti)» (77-78).

«Quello dei giudici non è un potere, è una funzione» (81, sulle tracce di Montesquieu) ((81)

«L’amministrazione della giustizia in Italia potrà diventare meno insoddisfacente soltanto se si capovolgerà l’interprertazione permissiva e perdonista dell’art. 27 della Costituzione: le pene devono tornare ad essere tali e devono essere scontate fino in fondo; la rieducazione del condannato deve essere perseguita soltanto là dove quest’ultimo si riveli oggettivamente suscettibile di un siffatto recupero. La società ha il diritto di difendersi ecc.» (84)

«Progressiva eliminazione delle imprese pubbliche, ormai diventate puro strumento per l’erogazione di rendite politiche e di paghe garantite. Tutti i servizi che non diano luogo a situazioni di monopolio dovrebbero essere privatizzati» (87)

«Ho l’impressione che la difficoltà di vedere ormai l’Italia entrare nell’Europa economica di serie A (se non addirittura in quella di serie B) dipenda da una sotterranea collusione di interessi fra cattivi imprenditori da un lato e frazioni spregiudicate della classe politica dall’altro. I primi si sono accorti di non saper reggere il confronto con la concorrenza d’Oltralpe, e quindi non vorrebbero abbandonare la comoda serra del protezionismo e dell’aiuto pubblico; le seconde si sono accorte che una rigorosa economia di mercato taglierebbe spietatamente le pratiche assistenzialistiche e clientelari da cui dipende la loro legittimazione elettorale. Il destino del paese, per parecchie generazioni, si sta giocando sul filo di questa perversa alleanza» (90)

I bilanci, annuale e pluriennale dello Stato, non dovrebbero prevedere disavanzi - e coperture di spese, mediante il ricorso al mercato finanziario - di entità tali da costituire una minaccia certa per lo sviluppo equilibrato dell’economia del paese. Per norma costituzionale, in nessun caso il volume delle spese del settore pubblico allargato dovrebbe complessivamente eccedere una percentuale del reddito nazionale annuo da fissarsi previo accurato studio statistico delle economie occidentali più floride: comunque ben al di sotto del 50 per cento» (92).

Assessori e ministri «devono cessare di essere rispettivamente consiglieri o parlamentari» (97).

I capi-gruppo del consiglio comunale scelgono il sindaco «in una categoria di amministratori professionali, pubblici e privati, riconosciuti dalla legge per il possesso di competenza, derivante da titoli formali o da esperienze acquisite» (98)

«Per procurare ordine bisogna prima fare disordine» (vecchio proverbio lombardo, 111).