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 2012  maggio 05 Sabato calendario

TIMORI SULLA CRESCITA USA, CADONO LE BORSE

La doccia fredda sui mercati arriva nel primo pomeriggio in Europa e al mattino a Wall Street e non è neanche poi tanto inattesa: gli Stati Uniti crescono debolmente, finora se ne erano avute le avvisaglie adesso arriva anche la conferma dai dati sull’occupazione. Il tasso in discesa (8,1% ad aprile) non inganna nessuno, perché come ogni primo venerdì del mese è sul numero dei nuovi posti di lavoro creati dall’economia Usa che si punta l’attenzione, e questo non è certo incoraggiante: se ne attendevano circa 168mila, ne sono stati registrati soltanto 115mila.
Non è sufficiente che molti operatori avessero in qualche modo messo in conto cifre simili (Goldman Sachs, per esempio, aveva già ridotto le attese a 125mila nuovi occupati), né che i dati dei due mesi precedenti siano stati rivisti al rialzo: il mercato teme una nuova frenata della locomotiva Usa, si comporta di conseguenza e vende a piene mani azioni. La sterzata sui listini è brusca e immediata: a New York l’S&P 500 chiuderà poi in ribasso dell’1,61% e il Nasdaq scivolerà a -2,25%. Ma neppure l’Europa può rimanere immune e i principali listini ripiegano e chiudono in rosso: Milano perde l’1,41% e i ribassi di Londra, Parigi e Francoforte sfiorano addirittura il 2 per cento. L’unica eccezione, sotto questo aspetto, la regala Madrid, che resta a galla (+0,35%) grazie al sostegno dei titoli delle banche (+2,2% Santander e +2,9% Bbva).
Lo spettro di una «ricaduta»
Qualcuno fra gli operatori newyorchesi si spinge a fare il ragionamento del «tanto peggio, tanto meglio»: detta in altre parole, se la debolezza del mercato del lavoro statunitense dovesse protrarsi anche nei prossimi mesi aumenterebbero le possibilità di nuove mosse espansive di politica monetaria da parte della Federal Reserve. Sarebbe, inflazione permettendo, l’atteso «quantitative easing 3» che tanto piace agli investitori perché fornisce ulteriore liquidità da girare immediatamente verso le Apple di turno. Ieri, per la verità, di acquisti a Wall Street se ne sono visti ben pochi, ma c’è da giurare che alle prossime indicazioni negative sul fronte macroeconomico un ragionamento del genere potrebbe far breccia e garantire una sorta di paracadute ai mercati.
I timori degli investitori su una frenata della ripresa Usa (i più pessimisti tornano a evocare lo spettro della doppia recessione, «double dip» anche Oltreatlantico) si fanno sentire pure sulle quotazioni del petrolio. Il greggio Wti è ieri sceso sotto i 100 dollari al barile per la prima volta da febbraio (-4% poco sopra quota 98) e sarebbe, secondo gli analisti, destinato a perdere ulteriori posizioni nei prossimi giorni visto che la questione Iran sembra essere passata in secondo piano e che la crescita globale è messa in serio dubbio. La tenuta dell’oro (che si conferma sopra i 1.600 dollari l’oncia) accresce fra l’altro la forza relativa del metallo giallo nei confronti del petrolio, un altro indicatore che gli analisti associano a un atteggiamento cauto nei confronti della congiuntura economica.
La tenuta dei «periferici»
Stupisce fino a un certo punto che non si siano visti ieri contraccolpi a livello di titoli di Stato «periferici» e di spread. In parte perché è già da qualche giorno che appare svanita quella correlazione fra azioni e bond alla quale ci si era abituati gli ultimi mesi, in parte perché un pur limitato ripiegamento di BTp e soci si è avuto dopo il dato Usa. La realtà è che la prevalenza del tema della crescita rispetto a quello del debito europeo ha restituito ai mercati del reddito fisso il loro ruolo abituale: così come si vende in Borsa si acquistano titoli di Stato, indipendentemente dal fatto che siano tedeschi, americani, italiani e spagnoli.
Per questo, in una giornata di generale avversione al rischio il differenziale di rendimento nei confronti del Bund decennale (che pure ha raggiunto un minimo storico all’1,58%) si è accorciato: 385 punti base per il BTp e 417 per i Bonos. E sono scesi anche i rendimenti dei titoli francesi (2,80%, spread a 122) a dispetto delle tensioni che ci si attenderebbe alla vigilia del duello finale Sarkozy-Hollande.
Semplice pausa di riflessione o inizio di una nuova tendenza per i «periferici»? I gestori non sembrano per il momento saper dare risposte precise e preferiscono navigare a vista. Chi dimostra invece di avere le idee chiare è il fondo sovrano della Norvegia, che nei primi tre mesi del 2012 ha scaricato tutti i titoli di Stato irlandesi e portoghesi che aveva in portafoglio, riducendo significativamente anche le posizioni in obbligazioni italiane (3,5 miliardi di euro, erano 8 miliardi nove mesi prima) e spagnole. Piaccia o no, i proventi del greggio del mare del Nord prenderanno altre destinazioni: Brasile, Messico, India, Corea e Indonesia piuttosto che la Vecchia Europa.