Adriano Bonafede e Massimiliano Di Pace, Affari e finanza 7/5/2012, 7 maggio 2012
Aiuti alle imprese, arrivano i tagli – Un fiume di denaro pari a 36,4 miliardi, circa la metà del costo annuale del debito pubblico
Aiuti alle imprese, arrivano i tagli – Un fiume di denaro pari a 36,4 miliardi, circa la metà del costo annuale del debito pubblico. Poco meno del 5 per cento dell’intera spesa pubblica e poco più del 2 per cento del Pil. A tanto ammontano, secondo le autorevoli stime della Banca d’Italia, i contributi pubblici che nel 2010 sono arrivati complessivamente alle imprese. Un fiume che ha bagnato, a volte "fertilizzandole" e molte volte no, ben 840 mila aziende tra il 2003 e il 2008, secondo il ministero dello Sviluppo Economico e che si divide in mille rivoli. Adesso il governo ha deciso di abbattere quello che per tanti anni è stato un tabù e di verificare l’efficacia di questi trasferimenti.Si andrà dunque a vedere, caso per caso, se e quali contributi a favore delle imprese si possono tagliare. Ma, ancor di più, l’esecutivo Monti vuole che i soldi spesi servano davvero a qualcosa, producano effetti tangibili e misurabili. Ora toccherà al professor Francesco Giavazzi ridisegnare il sistema degli incentivi. «Il segnale che ha dato Monti nominando Bondi e Giavazzi è chiaro: la ricreazione è finita, la spesa pubblica sarà messa sotto controllo dice l’economista e senatore Mario Baldassarri, oggi nel Terzo Polo e le incentivazioni alle imprese saranno una parte non secondaria della spending review». Baldassarri giudica la decisione del governo una vera rivoluzione, peraltro richiesta molte volte in questi ultimi anni da numerosi economisti e dalla Banca d’Italia. «Addirittura dice lo stesso Baldassarri si è fatto finta di non vedere che una buona parte di queste regalie vanno ad alimentare non il circuito virtuoso della produzione e degli investimenti ma quello perverso della corruzione e della malavita organizzata. Non sono io a dirlo: lo afferma la Corte dei Conti. Certo, sarebbe sbagliato fare di tutta l’erba un fascio. Quindi non si tratta di eliminare la spesa dello Stato a favore del sistema produttivo, ma di razionalizzarla, misurandone scientificamente l’efficacia». E questo sembra, in effetti, l’intendimento del governo. «Ma è anche possibile riconosce Vieri Ceriani, sottosegretario all’Economia che si arrivi a dei risparmi di spesa, anche se non è questo l’obiettivo principale dell’esecutivo. Bisognerà prima di tutto fare chiarezza, adeguandosi alle raccomandazioni già fatte da vari organismi internazionali, che dicono di concentrarsi su poche cose chiare: ambiente, R & S, innovazione». In realtà, il tema delle agevolazioni pubbliche alle imprese è molto complesso, sia per la difficile definizione di "incentivo", sia per la molteplicità di soggetti e di forme di sostegno al mondo produttivo. I contributi alle imprese sono dati sia da autorità centrali (ad esempio ministeri, in particolare quello dello Sviluppo economico), sia da agenzie nazionali (ad esempio l’Agea, l’Agenzia pubblica che eroga agli agricoltori i contributi previsti dalla Pac), sia da Regioni ed enti locali, fra i quali si inseriscono anche le Camere di Commercio. Basti pensare che nel 2010 su 36,4 mld di contributi al mondo produttivo, ben 16,7, poco meno della metà (45,9%), erano erogati da Regioni, Province e Comuni. Le forme dei trasferimenti sono le più varie: si va dai crediti di imposta ai contributi in conto capitale (a fondo perduto), o in conto interessi, passando anche da servizi gratuiti o semi gratuiti, come è il caso della partecipazione a fiere internazionali, o la formazione dei dipendenti. Anche le modalità di attribuzione degli incentivi variano molto, sebbene spesso l’accesso sia subordinato alla partecipazione ad una gara, con conseguente selezione delle richieste valutate più meritevoli sulla base di una serie di criteri indicati nel bando. Ma non mancano i casi in cui è sufficiente rispettare i requisiti indicati dalla Pa per ottenere i fondi, come accade nel settore agricolo o in quello del commercio internazionale, dove si va avanti fino ad esaurimento delle risorse. La modalità forse più perversa è però quella del cosiddetto "click day", in cui in un certo giorno e ad una certa ora si clicca su un sito di Internet. Un sistema discutibile, se basta un ritardo di pochi secondi per non accedere ai fondi. La difficoltà di avere un quadro completo della situazione deriva dal fatto che manca una "regia" nazionale degli aiuti al sistema produttivo, per cui si sovrappongono iniziative che hanno la stessa finalità, ma organizzate da soggetti diversi. Lo conferma Vieri Ceriani: «Siamo di fronte a una pluralità di interventi non sempre coordinati fra di loro e di dubbia efficacia. Si può fare di più per coordinare, ma attenzione: alcune materie sono demandate alle regioni dalla Costituzione». Un caso classico di questa sovrapposizione d’interventi è proprio quello del commercio internazionale, dove al sostegno fornito dall’Ice, prima cancellato da Berlusconi, ed ora riattivato con il decreto SalvaItalia dal Governo Monti, si aggiungono quello delle Regioni, che hanno appositi sportelli per l’internazionalizzazione, e quello delle Camere di Commercio, a livello sia locale che nazionale. Comunque tutti hanno approfittato della generosità dello Stato. A cominciare dalle stesse società pubbliche: «A Fs, Anas e trasporti pubblici locali dice Baldassarri vanno circa 14 dei 3540 miliardi. Il resto va per l’85 per cento alle regioni del Sud e per il restante 15 al Nord». Per le società private, la parte del leone la fanno ovviamente le grandi imprese, e, tra queste, la Fiat. «La società torinese scrive Cobianchi nel suo libro "Mani bucate A chi finiscono i soldi dei contribuenti. L’orgia degli aiuti pubblici alle imprese private" è da sempre considerata la più grande beneficiaria di aiuti pubblici in Italia». La difficoltà a stimarne l’ammontare deriva «dall’enorme numero di società controllate e partecipate (alcune centinaia soltanto in Italia)». Comunque qualche numero Cobianchi lo ha messo insieme: nel 1997 la Fiat chiede e ottiene 69 miliardi di lire per Mirafiori Carrozzeria, 30,3 per Mirafiori Meccanica, 54 per Termoli, nel 1999 39,6 miliardi per Pomigliano; uno degli ultimi aiuti, per 300 milioni di euro, arriva il 26 giugno 2009 per sostenere Pomigliano e Termini Imerese. Uno dei più clamorosi casi di agevolazioni alle grandi imprese riguarda la raffineria Saras della famiglia Moratti in Sardegna. Nel 1962, quando Angelo Moratti sbarca nell’isola, ottiene un contributo di 40 miliardi di lire per costruire lo stabilimento. Oltre ai benefici dei contributi Cip6, a partire dal 1992, ci sono stati svariati contratti di programma. Cobianchi stima che dall’inizio degli anni 90 gli investimenti previsti dalla Saras siano stati 577 milioni di euro, di cui il 46 per cento a carico dello Stato. Ma all’abbeveratoio pubblico si sono dissetati, nel corso del tempo, grandi e piccoli operatori praticamente di qualsiasi settore: meccanica, turismo, aeronautica, editoria, agricoltura, impiantistica, chimica e farmaceutica, autotrasporto, servizi pubblici locali, centri di ricerca. Il punto vero non è tanto la dimensione, quanto l’efficacia dell’intervento. Infatti non risulta, navigando nei siti istituzionali, nessun documento ufficiale che riporti una valutazione sull’efficacia degli aiuti alle imprese. Né vi è un obbligo di legge a fornire consuntivi. L’unica eccezione è il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, la struttura del ministero dell’Economia che segue l’impiego delle risorse dei fondi strutturali comunitari (essenzialmente il Fesr Fondo europeo di sviluppo regionale, e il Fse Fondo sociale europeo). Nel sito (www.dps.tesoro.it), nella colonna dedicata alla politica regionale, compare la voce "valutazione", che riferisce come i 124,7 miliardi di euro previsti per il periodo 20072013 per l’attuazione in Italia della politica di coesione comunitaria (28,7 dai fondi strutturali, 31,6 dal cofinanziamento nazionale, 64,4 dai fondi FAas Fondo Aree Sottoutilizzate) vengono spesi attraverso i 66 Programmi operativi, dei quali 42 regionali. In questo alveo ci sono anche gli incentivi per le imprese, in particolare per le regioni Obiettivo convergenza (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia), che comunque non costituiscono la destinazione principale. Ebbene, selezionando quella voce si accede a valutazioni regione per regione e a valutazioni nazionali, effettuate dalla Commissione Europea, le più interessanti, in quanto più oggettive. L’ultima valutazione è stata predisposta dalla Commissione nel novembre 2010: nelle tabelle finali, dove si riportano regione per regione i risultati conseguiti per i vari obiettivi stabiliti dalla politica di coesione, la valutazione di gran lunga più frequente è no achievements, ossia nessun risultato, mentre la percentuale di risorse impegnate sul totale per molti obiettivi e molte regioni era, a 3 anni dall’avvio del nuovo ciclo (2007</->2013), spesso sotto il 10 per cento. Insomma, soprattutto si spende male. Le rappresentanze datoriali hanno le loro ricette. «Ben venga la trasparenza che farà Giavazzi </-> dice Giampaolo Galli, direttore generale di Confindustria </-> su questi capitoli di spesa. Oggi ci sono varie fonti ciascuna delle quali fotografa elementi parziali. Comunque i dati Eurostat mostrano inequivocabilmente che l’Italia spende per aiuti di Stato solo lo 0,29 per cento del Pil contro una media Ue dello 0,60. Ma la prima, più importante cosa da fare, è che lo Stato paghi il pregresso. Ad esempio, dei bandi del 2008 per "Industria 2015", voluti da Bersani per incentivare la ricerca, lo Stato ha erogato solo 15 milioni mentre le imprese che hanno vinto le gare aspettano 850 milioni». Per Paolo Galassi, presidente di Confapi, la questione è un’altra: «Finora molti incentivi pubblici sono finiti alle grandi imprese, e a settori dove è prevalente l’industria estera. Le agevolazioni invece dovrebbero essere finalizzate non solo ad aumentare il Pil, ma anche a sostenere quelle attività produttive che comportano un incremento dell’occupazione in Italia, com’è il caso del settore manifatturiero, e più in generale delle Pmi». «Il tema, complesso, della riforma dei contributi alle imprese </-> dice Vieri Ceriani </-> verrà affrontato dopo l’approvazione della delega fiscale e andrà coordinato con gli altri ministeri economici».