Eugenio Occorsio, Affari e finanza 7/5/2012, 7 maggio 2012
Nintendo, Philips, Nokia, Sony quattro colossi in crisi di crescita Il 2011 sarà stato anche l’anno dello tsunami, dello yen forte, della recessione globale, tutti fattori che per un produttore di videogiochi giapponese non sono certo propizi
Nintendo, Philips, Nokia, Sony quattro colossi in crisi di crescita Il 2011 sarà stato anche l’anno dello tsunami, dello yen forte, della recessione globale, tutti fattori che per un produttore di videogiochi giapponese non sono certo propizi. Ma una batosta del genere non se l’aspettava neanche il più pessimista degli analisti: la Nintendo, fresca reduce dal trionfo del sorpasso duramente cercato ai danni della Playstation, ha chiuso l’anno con un calo del fatturato del 36,4% (la Playstation peraltro è andata appena meglio), da quasi mille a 647,6 miliardi di yen, ovvero 5,9 miliardi di euro. Inevitabilmente, l’azienda di Kyoto, fondata nientemeno che nel 1899 come produttrice di carte da gioco e tessere per il domino, convertitasi all’elettronica nel 1975, è finita in perdita: l’anno fiscale 2011/12 (chiuso il 31 marzo) ha registrato un deficit di 43,2 miliardi di yen (370 milioni di euro) contro un utile di 77,6 miliardi dell’esercizio precedente. Il calo di valore in Borsa è stato del 45% nell’anno. Insomma un disastro. Per il gruppo è la prima chiusura in rosso da quando nel 1981 è stato quotato. Ora è partita la controffensiva: visto che la carta vincente contro la concorrenza era stata la Wii, la console per far ginnastica che ha avuto perfino l’endorsement di Michelle Obama nella sua campagna contro l’obesità giovanile, la casa accelererà il lancio della nuova Wii U, previsto inizialmente in dicembre ma anticipato a giugno. Nuova tecnologia, nuove possibilità, e valorizzazione dello schermetto touchscreen già montato dalla Nintendo sulla console portatile 3DS che però non ha avuto molta fortuna, anzi proprio ad essa l’azienda imputa la debacle: costava troppo cara, 250 dollari, allora è stato abbassato il prezzo fino a renderlo addirittura (sostiene la casa) inferiore al costo industriale. Ma le vendite hanno continuato ad andar male. Per risolvere questo pasticcio la casa ha studiato un apparecchio ibrido. Con il touchscreen si comanda lo schermo grande, con un’infinità di combinazioni che derivano dalla sinergia basata sulle più avanzate ricerche di realtà allargata, una serie di innovazioni che amplificano le possibilità normali di una persona: tridimensionalità spinta, e poi capacità di far reagire i personaggi sullo schermo con eccezionale prontezza e sorprendenti rapidità e scaltrezza. Basterà? I manager di Kyoto in cuor loro sanno che sarà dura. La crisi della Nintendo è dovuta allo stesso fenomeno che 7.800 chilometri ad ovest minaccia alle fondamenta un’altra casa storica dell’hitech, la finlandese Nokia, che ha chiuso il 2011 con una perdita di 1,2 miliardi di euro, più altri 600 milioni nel solo primo trimestre 2012. Il fenomeno in questione è la diffusione capillare di iPad e smartphone, che menano fendenti in ogni direzione: contro i produttori di console perché i videogiochi a questo punto vengono scaricati sul cellulare a molto meno prezzo e con una scelta infinita (e qui la vittima è Nintendo contro tutti i produttori di cellulari intelligenti) e contro chi per qualche motivo non è riuscito ad inserirsi efficacemente nel mainstream del mercato, e qui la vittima è Nokia che deve vedersela con Apple, tutti gli altri ma soprattutto con Samsung che proprio in queste settimane ha scippato il primo posto negli smartphone ed entro la fine dell’anno probabilmente anche nei telefonini in assoluto, soffiando la prima posizione appunto a Nokia (per i dati vedere grafico). Anche ad Helsinki si stanno affrettando le contromisure. Intanto si sta accelerando il passaggio al sistema operativo Windows, sollecitandone un miglioramento da parte di Microsoft e abbandonando l’obsoleto Symbian, il tutto per rintuzzare i colpi dell’Android che domina la scena (montato dalla Samsung e da molti altri). Poi è partito il taglio di personale, il 5% del totale pari a 6mila unità. Inoltre sono stati tagliati i prezzi del Lumia 900, l’ultimo nato della casa in evidente affanno, da 400 a 300 euro. Infine si sta chiudendo la trattativa con il fondo di private equity specializzato nel lusso Permira (proprietario di Ceramiche Marazzi, Valentino, Hugo Boss) per la vendita della linea di telefonini ultraluxurius Vertu. È una partecipazione atipica, della quale la Nokia non sente il bisogno anche se in effetti le vendite del marchio, nato nel 1998, sono fra modelli tempestati in pietre preziose, d’oro, siglati Ferrari e simili, stimate in 250 milioni. Il modellobase, Constellation Quest, costa 4mila euro, ma la casa ne produce anche dieci volte più cari. Il prezzo per Premira dovrebbe essere di 225 milioni di euro. Nokia e Nintendo sono aziende mondiali accomunate dal fatto di aver perso qualche lunghezza nella gara concorrenziale e quindi di essere costrette ad inseguire modificando produzioni, rivedendo linee di business, spingendo sull’acceleratore su certi punti e disinvestendo altrove. Non sono le uniche. Un altro gruppo globale per antonomasia come Sony vive le stesse angosce. Qui la perdita annuale è stata di 5 miliardi di dollari, la peggiore della sua storia, dovuti (oltre ai motivi congiunturali particolarmente pesanti per le multinazionali giapponesi) a errori di programmazione, alla perdita di leadership nei televisori, alla solita concorrenza della Samsung nei telefonini (oltre che nei televisori stessi), ad alcuni flop della casa cinematografica del gruppo. La strategia del nuovo capo Kazuo Hirai, insediatosi il 1° aprile, oltre a 10mila licenziamenti, punta a rafforzare i punti dove già si è forti. E oggi la Sony è forte nella musica: la prima mossa è stata così l’acquisizione per 2,2 miliardi di dollari della divisione edizioni della Emi, che detiene i diritti dei Beatles, dei Rolling Stones, dei Pink Floyd e di tanti altri mostri sacri, e miniere d’oro, dell’universo musicale. Nasce il numero uno al mondo, più grosso della Universal e della Warner. Chi invece di passi coraggiosi in direzione della diversificazione e del risanamento ne ha già fatti, e ne sta cogliendo i frutti, è l’olandese Philips, altro gruppo globale per eccellenza. Ha avuto i suoi anni duri, con tagli severi di personale e perdite cospicue, finché un’intuizione: vendere partecipazioni anomale come le macchine da caffè Senseo (andata a Sara Lee), poi liquidare molte proprietà immobiliari, ma soprattutto ridurre settori maturi come l’illuminazione o gli elettrodomestici per concentrarsi su nicchie di mercato dalle marcate possibilità di crescita. Ha venduto la divisione televisori e ha puntato sulle tecnologie biomedicali: schermi per apparecchi piccoli e grandi di misurazione della pressione, ecografi, macchine per la Tac e la risonanza magnetica, e quant’altro di elettronico esiste in medicina. La Philips ha ingaggiato una serrata campagna di marketing in tutti gli ospedali del pianeta, ha spinto sulla ricerca e sviluppo, e alla fine è stata premiata: ha chiuso il primo trimestre 2012 in utile per 552 milioni di euro (+26% sullo stesso periodo dell’anno scorso), con 5,6 miliardi di fatturato, in crescita del 4%, nettamente meglio delle previsioni degli analisti. Ironia della sorte, la resurrezione della Philips ha coinciso con l’affondamento del governo olandese proprio per motivi economici: una prova che una grande corporation quando decide una svolta sa trovare in sé la forza per perseguirla senza preoccuparsi troppo della situazione in patria ma puntando su un mercato davvero globale.