Federico Pontiggia, il Fatto Quotidiano 5/5/2012, 5 maggio 2012
BRAVI TAVIANI, MA NON È UN DAVID PER GIOVANI
Sono i fratelli Taviani i trionfatori dei David di Donatello 2012. Standing ovation per loro, cinque statuette per Cesare deve morire: miglior film e miglior regista, e poi produttore (Grazia Volpi), montatore (Roberto Perpignani) e presa diretta. Dopo l’Orso d’Oro a Berlino, Paolo e Vittorio realizzano i buoni auspici del presidente Napolitano, che ricevendoli al Quirinale aveva espresso tutta la “sua simpatia, anche per questioni generazionali” e dedicano commossi il trionfo ai detenuti di Rebibbia. E dire che Cesare deve morire partiva dietro: 8 nomination contro le 16 di Romanzo di una strage, che ne trasforma solo tre con gli attori non protagonisti Pierfrancesco Favino e Michela Cescon, ovvero la famiglia Pinelli, e gli effetti speciali. Cesare deve morire consola anche Nanni Moretti, che l’ha distribuito con la sua Sacher, perché Habemus Papam (15 nomination) si deve accontentare del miglior attore protagonista Michel Piccoli, i costumi di un’altra Taviani (Lina Nerli, moglie di Paolo) e le scenografie. Sceneggiatura e bottino tecnico – il musicista David Byrne, la sua If It Falls, It Falls, truccatore, acconciatore e la fotografia di Luca Bigazzi - per un altro top player, This Must Be the Place di Paolo Sorrentino. Tra gli esordienti, la spunta Francesco Bruni con Scialla!, che si aggiudica anche il David Giovani, mentre un altro deb, Io sono Li di Andrea Segre, vince con la protagonista Zhao Tao. A completare il palmares, accanto al documentario Tahrir di Stefano Savona (“Ringrazio tutti i protagonisti della Primavera Araba”) e al corto Dell’ammazzare il maiale di Simone Massi, il miglior film dell’Ue, il francese Quasi amici, e quello straniero, il già premio Oscar Una separazione dell’iraniano Asghar Farhadi, anche questo in sala con Sacher.
MA CHE CI dice questo verdetto? Facile gioco di parole, ai David hanno vinto i Golia del cinema italiano, ovvero i fratelli Taviani, la classe ’31 di Paolo, la classe ’29 di Vittorio e la loro classe di autori riconosciuti e celebrati. In altre parole, la generazione di Napolitano (1925) e del presidente dell’Accademia del Cinema Italiano Gian Luigi Rondi (1921): verdetto anagraficamente corretto, artisticamente ineccepibile, ma Moretti, Sorrentino, Giordana dove li mettiamo? Chi se la passa peggio, comunque, è Ferzan Ozpetek: 8 nomination, nessuna trasformata e prevedibile ironia, perché era in lizza con Magnifica presenza. A bocca asciutta anche Ivan Cotroneo (La kryptonite nella borsa), Stefano Sollima (ACAB) ed Emanuele Crialese (Terraferma), ma ci può stare. Anzi, no: non è un paradosso che il candidato all’Oscar dell’Italia, Terraferma, non abbia ricevuto nemmeno un David? Un morettiano “facciamoci del male”? Sarà, ma la vittoria dei Taviani e la “sconfitta” di Nanni, Sorrentino e Giordana premia una certa Italia. Civile e colta, shakespeariana e carceraria, reclusa ma piena di speranza, nel segno della cultura che apre le porte, anche quelle più chiuse: lunga vita ai Taviani, dunque, capaci di essere profeti in Germania e pure in patria. Sul trionfo berlinese, merita di passare agli annali la freddura del maestro di stracche cerimonie all’Auditorium Conciliazione di Roma, l’ilare (?) Tullio Solenghi: “Spread? Col cinema l’abbiamo messo in quel posto ai tedeschi”. Non bastasse, ha pure ricordato le contestazioni tributate al film dai connazionali della Merkel: “No ai Taviani, un altro movimento No Tav…”. coraggio per premiarla, ma rimane la dedica di Favino a Licia Pinelli, e un’esortazione che vale per tutti: “A chi va vedere i film al cinema e non se li scarica sul computer”.
MA L’ITALIA fuori è anche quella dei giovani: il 50enne Francesco Bruni è al debutto dietro la macchina da presa, ma al cinema ci sta da tempo come stimato sceneggiatore, ed è lui il primo a riconoscere che c’erano dei “veri” giovani, quali il 36enne Segre di Io sono Li, la 30enne Alice Rohrwacher di Corpo celeste e i 34enni De Serio di Sette opere di misericordia, manco finito in cinquina.
Ma perché stupirsi, se la madrina dei David è l’84enne Gina Lollobrigida, che ci ricorda come Sean Connery non l’avesse corteggiata e gaffa sulla “normalità” di Rock Hudson? E perché stupirsi se big stranieri del calibro di Michel Piccoli (“Sta girando in Belgio”, Moretti dixit) e David Byrne (“E’ in tour”, Sorrentino docet) hanno disertato una cerimonia che perfino Rai Uno ha trasmesso in differita solo alle 23.20? Insomma, se il mese di aprile in sala torna a sorridere (+44% di presenze sul 2011) e forse il Festival di Roma ha trovato il tendone buono per il circo che si sta consumando, i Donatello 2012 potrebbero essere narrati da un Cormac Mc-Carthy cinefilo: non è un David per giovani. E pensare che Napolitano, a tu per tu l’altro ieri al Quirinale, ci aveva espresso tutta la sua “angoscia” per i giovani e, in particolare, per i nostrani Neet (né studio, né lavoro).
Ma si sa la “simpatia” è un’altra cosa: simpatia per i fratelli Paolo e Vittorio Taviani, Sympathy for the David. Per fortuna, l’ironia non ha età: “Ci vediamo l’anno prossimo”, conclude Solenghi. “Magari”, rispondono i Taviani. Sipario.