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 2012  maggio 05 Sabato calendario

«Io mostro? E chi vende partite?» - Il giorno dopo è come il giorno pri­ma. Delio Rossi ha la stessa voce, lo stes­so sguardo, i pensieri non fuggono die­tro le parole che sono sempre studiate, pesate

«Io mostro? E chi vende partite?» - Il giorno dopo è come il giorno pri­ma. Delio Rossi ha la stessa voce, lo stes­so sguardo, i pensieri non fuggono die­tro le parole che sono sempre studiate, pesate.«Ma io non so parlare,mi riesce difficile in pubblico, spesso quello che vorrei dire non arriva a destinazione». Ha chiesto scusa, a tutti, compreso Ljajic, ha ribadito di avere sbagliato, ha rivisto quelle immagini, sa che il ge­sto non ha giustificazioni se non per la provocazione del ragazzo serbo sul quale andrà a dire tra poco. Ricapitolia­mo, con lui. Signor Rossi, allora? La sua carrie­ra è conclusa? Pensa di tornare ad allenare? «Sto riflettendo, mi faccio mille do­mande. So di essere un allenatore pre­stato al mondo dei professionisti». Vale a dire? «Che oggi allenare è l’ultimo dei pro­blemi. Oggi bisogna gestire. Hai a che fare con una generazione che non ha un grande senso della professionalità. Hanno vent’anni e già si presentano, agli allenamenti, a bordo di automobi­li lussuose, puoi dialogare soltanto con i loro procuratori, poi, magari all’ autogrill, durante una sosta prima o do­po la partita, li trovi a mangiare la cioc­colata. E altro ancora». Allude a Ljajic? «Non soltanto a lui ma a una genera­zione di privilegiati». Veniamo a Ljajic. Ha chiesto scusa, così dicono e scrivono. «A chi? A me no, mai. Anzi». Anzi che cosa? «Dopo la partita con il Novara entro nello spogliatoio e rimprovero la squa­dra: ma razza di presuntuosi, come ave­te potuto buttare via una prestazione così? Poi vado da Ljaijc e gli dico: non ti permettere più di dirmi le cose che hai detto e di comportarti come hai fatto». E lui, contrito, cosa ha risposto? «Contrito? Ha tentato di venirmi contro. E ora leggo che il suo procurato­re vorrebbe denunciarmi». (la fami­glia ha ieri prima annunciato di voler denunciare il tecnico poi, in serata, ha fatto sapere di preferire attendere, ndr) Lei ha rovinato l’immagine, la sua e del calcio italiano. «Io? E tutti quelli che si sono venduti le partite? Il filmato di mercoledì ha fat­to il giro del mondo. Sono un mostro. E ora cercano di speculare. Il Gabibbo, Striscia la Notizia, vogliono costruirci su il solito show. Ora è questo il mondo del calcio. Non è il mio». Ma che cosa le ha detto il serbo? «Ha mancato di rispetto alla mia per­sona e alla mia famiglia. Non si è limita­to a una imprecazione, ha reiterato gli insulti». E lei conosce la lin­gua serba? «Sapete quanti cal­ciatori ho avuto tra Lecce, Palermo e Ro­ma con quell’idio­ma? Con loro spesso dialogavo ricorrendo alle loro parole». Quali sono i mora­listi cui lei ha accennato e dai quali non intende ricevere lezione? «Quelli che dicono e scrivono che se avessi reagito così come ho fatto, sba­gliando, ma nello spogliatoio, sarebbe stato meglio. Ma a caldo, certe reazio­ni, anche se censurabili, hanno una spiegazione, a freddo, sa­rebbero premeditate. E nes­suno se ne rende conto. Poi ci sono altre considera­zioni ». Dunque Ljajic non ha chiesto scusa. «Per niente. Invece ho rice­vuto telefonate impreviste da Conte, che non ho mai frequentato, da Mazzarri, da Iachini, da colleghi di serie inferiori, perché da lì vengo e non dimentico». Che cosa? «Di avere allenato una squadra di operai, muratori e contadini, di sera, a Torremaggiore, vicino a Foggia. Quat­tro giorni alla settimana, per tre volte al giorno, primo pomeriggio, poi al tra­monto e a sera, al buio, al freddo, senza termosifone nello stanzino per cam­biarci. Usavamo il phon. Poi al sabato ultimo allenamento al parco San Feli­ce di Foggia. Promossi in Eccellenza. Vorrei parlare di questo a Ljajic e ai suoi colleghi». Mai incontrato altre teste calde? «Sì. Chevanton, ad esempio. Un ba­stian contrario. Decidevo di fare la cor­sa e lui voleva la partitella, sceglievo la partitella e lui la corsa. Una sfida quoti­diana. Sapeva di essere il migliore, in campo lo era ma fuori un ribelle. Una sera a Terni vengo informato, da un vicepresidente della mia so­cietà, che tre titolari sono stati vi­sti alle due di notte in discoteca. Uno addirittura alla cassa distri­buiva i biglietti. Chiamo il vice­capitano: volete ancora con voi quei tre e rischiamo la re­trocessione o li lascio fuori e diamo l’esempio a tutti? Poi vado dal genio cassie­re e gli dico: ma ti rendi conto che alle due di not­te non si sta in discoteca alla vigilia di una partita decisiva? Lui, Chevan­ton, replica: ha sbagliato il vicepresidente a dirmi di andare a casa, ho fatto una brutta figura davanti a tutti. Ora vi chiedo, si può lavorare con tipi così»? Anche con alcuni colleghi... «Forse. Ho avuto, come allena­tore, un esaltato: si chiamava Rena­to Zara, faceva spostare i tronchi e scalare le montagne». Zeman? «Maniacale, dogmatico. Viene dalla cultura dell’est, prima della caduta del muro. Lui non mi ha telefonato e credo che non lo farà». Come occuperà il tempo? «Facendo quello che per colpa del pallone non facevo: pagare le bollet­te, badare alla casa e occuparmi del­la vita della mia famiglia. Il calcio mi ha dato da vivere, ne ho avuto biso­gno ».