TONIA MASTROBUONI, La Stampa 7/5/2012, 7 maggio 2012
“Bruxelles mi ha ignorato Adesso siamo al disastro” - Rimpianti non ne ha. E nonostante il risultato scioccante di queste elezioni, George Papandreou non pensa che significhino la fine del suo partito, di quel Pasok che il padre fondò quasi quarant’anni fa sulle macerie della dittatura dei colonnelli e che lui ha portato in trionfo alle elezioni del 2009, dove sfiorò il 44% dei voti
“Bruxelles mi ha ignorato Adesso siamo al disastro” - Rimpianti non ne ha. E nonostante il risultato scioccante di queste elezioni, George Papandreou non pensa che significhino la fine del suo partito, di quel Pasok che il padre fondò quasi quarant’anni fa sulle macerie della dittatura dei colonnelli e che lui ha portato in trionfo alle elezioni del 2009, dove sfiorò il 44% dei voti. Ora che i socialisti hanno perso due terzi dei voti, l’ex premier greco invita a contestualizzare: quello di ieri «è un voto che riflette la sofferenza di un popolo per le dure misure di austerity». Papandreou ha lasciato lo scorso autunno, dopo l’«incidente» della proposta sul referendum sul penultimo piano di aggiustamento. E a marzo di quest’anno ha ceduto anche le redini del partito al suo rivale di sempre, Evangelos Venizelos. Ma oggi il presidente dell’Internazionale socialista approfitta di questa intervista in esclusiva nel giorno delle «più importanti elezioni dal 1974» per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Con l’Europa germanizzata che ha chiesto grandi sacrifici ad Atene senza mai dare ascolto a chi, come Papandreou, chiedeva già nel 2009 una riforma della finanza ed Eurobond. Quanto al futuro della Ue non ha dubbi: o sarà solidale, o non sarà. «Ci vuole un New Deal per l’Europa. Altrimenti sarà la fine». Presidente, concorda con chi ha definito queste elezioni le più importanti dalla fine della dittatura dei colonnelli? «Assolutamente sì. E penso anche che si sarebbero potute benissimo evitare». In che senso? «Io avevo proposto di arrivare al 2013 con il governo Papademos. Invece i conservatori di Samaras hanno voluto forzare la mano e queste elezioni si sono trasformate inevitabilmente, in questo momento così delicato, in qualcosa di molto diverso». In un voto pro o contro l’Europa? «No, questo non è un voto contro l’Europa, è un voto pro o contro l’austerità, alimentato molto dal voto di protesta e dal populismo. Una dinamica che si sarebbe potuta evitare, se si fosse fatto il referendum che avevo proposto». Ma su quel referendum contro il penultimo piano di austerità lei fu impallinato anzitutto dal suo collega di partito, Venizelos. «Con quel referendum avremmo dato voce al popolo e sono sicuro che in quel momento avrebbe prevalso il buon senso. Credo che anche il preoccupante exploit dell’estrema destra è un risultato di quell’occasione mancata. Sin da quando divenni primo ministro, nel 2009, ho sempre detto che bisognava affrontare anche il problema della crescita, che bisognava dare una prospettiva diversa all’Europa e risolvere i nodi che hanno portato alla crisi. Altrimenti ai mercati non sarebbe bastata l’austerità». E invece? «All’epoca mi impegnai a correggere i nostri conti pubblici andati fuori controllo a causa del precedente governo conservatore. Ma dissi anche che non sarebbe bastato senza progressi in Europa. Dissi già allora che c’era bisogno di un forte frangifiamme europeo, un fondo salva Statiefficace, che bisognava affrontare il problema delle banche e delle agenzie di rating. Che bisognava creare un sistema finanziario più trasparente e che bisognava pensare agli Eurobond». Adesso anche il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, parla della necessità di crescita. «Per l’Europa ci vuole un New Deal. L’Europa del futuro o sarà solidale o non sarà. Bisogna introdurre i Project bond per finanziare le infrastrutture, occorre investire in ricerca e sviluppo, nell’educazione e nelle energie rinnovabili». Questo voto sembra punire il suo partito e favorire le ali estreme, la sinistra radicale, e il partito neonazista di Alba dorata. «I conservatori hanno sbagliato a fare una campagna elettorale xenofoba, che ha favorito soprattutto l’estrema destra. Anche questo dimostra che bisogna puntare tutto sulla solidarietà». Sì, ma è anche un segnale al Pasok. «Questo non è un voto che segna la fine del Pasok, è un voto che riflette la sofferenza di un popolo per le dure misure di austerity. Ma è vero che quando presi in mano il partito la mia intenzione era quella di riformarlo e di fare una legge elettorale per rendere il sistema dei partiti più trasparente e meno clientelare. Purtroppo non ci sono riuscito». Che pensa della vittoria di Hollande? «Vorrei congratularmi per la sua vittoria. Per me rappresenta la speranza che l’Europa cambi finalmente il suo cammino, che diventi più solidale».