MAURIZIO MOLINARI, La Stampa 5/5/2012, 5 maggio 2012
“Una crisi anomala Che fa molto comodo a Obama e a Hu” - Questa è una crisi che fa comodo ai governi di entrambi i Paesi»: pochi a Washington conoscono la Cina come Albert Keidel, ex titolare dei rapporti con Pechino del ministero del Tesoro oggi all’Atlantic Council, e la sua lettura dell’attuale crisi parte dall’analisi di quanto sta avvenendo nella Repubblica popolare
“Una crisi anomala Che fa molto comodo a Obama e a Hu” - Questa è una crisi che fa comodo ai governi di entrambi i Paesi»: pochi a Washington conoscono la Cina come Albert Keidel, ex titolare dei rapporti con Pechino del ministero del Tesoro oggi all’Atlantic Council, e la sua lettura dell’attuale crisi parte dall’analisi di quanto sta avvenendo nella Repubblica popolare. Quale è la genesi del braccio di ferro sul dissidente Chen? «La genesi è nella decisione del consolato Usa a Chengdu, in febbraio, di accogliere l’ex capo della polizia locale Wang Lijun per raccoglierne la deposizione sulla morte dell’imprenditore britannico Neil Heywood che ha portato alla caduta del capo del partito comunista locale, Bo Xilai, con conseguenze importanti negli equilibri di potere a Pechino». Quale è il legame fra l’episodio di Chengdu e la fuga di Chen? «In entrambi i casi i diplomatici americani hanno scelto di sfidare le autorità cinesi non a Pechino ma in aree decentrate: a Chengdu accogliendo nel consolato il poliziotto anti-regime, e a Shandong da dove Chen è scappato. Ciò significa essere entrati in un nuovo livello di impegno a favore del dissenso, con una penetrazione sul territorio assai specifica, capace di influenzare gli eventi lontano da Pechino». Quali sono le implicazioni nei rapporti fra Usa e Cina? «L’apparenza porterebbe a dire che il braccio di ferro su Chen ha complicato le relazioni bilaterali ma siamo di fronte a una crisi che ha molti strati e quello che colpisce di più riguarda le conseguenze favorevoli per entrambi i governi». Che cosa intende dire? «Erano più di venti anni che un dissidente non entrava nell’ambasciata Usa a Pechino e non sappiamo ancora chi ha dato l’autorizzazione di accogliere Chen. A prescindere da come finirà, l’episodio consente a Barack Obama di cavalcare il sentimento anti-cinese molto radicato in America in piena campagna elettorale. Il vantaggio politico che ne trae è evidente come altrettanto chiaro è il fatto che alla vigilia del cambio di presidente a Pechino, nel partito comunista è in atto una resa dei conti e la crisi di Chen crea un’atmosfera anti-americana in Cina che favorisce il fronte dei falchi, non certo Xi Jinping». Sta dicendo che l’attrito su Chen è una crisi artificiale? «Con certezza nessuno può dirlo, sappiamo però che i cinesi hanno seguito l’auto che ha portato Chen all’ambasciata Usa a Pechino, per oltre 400 km, e dobbiamo chiederci come sia stato possibile che non siano riusciti a fermarla». Ora si affaccia il compromesso su un visto di studio per Chen negli Stati Uniti. Quali saranno le conseguenze? «Quelle più importanti riguardano il ruolo dei diplomatici Usa in Cina. Continuando ad alzare il livello di impegno nelle regioni interne avranno come interlocutori non tanto i pochi dissidenti di tipo tradizionale, interessati a libertà e democrazia, quanto i numerosi portatori di uno scontento sociale frutto della disparità di benessere fra città e campagne».