Paolo Bianchi, Libero 5/5/2012; Charles Bukowski, Libero 5/5/2012, 5 maggio 2012
Due articoli: I POETI BEAT SONO UN GRUPPO DI MONTATI – Ma quanto ha scritto Charles Bukowski? A diciott’anni dalla sua scomparsa continuano ad apparire raccolte di inediti, soprattutto racconti e frammenti, in particolare recuperati da riviste le più disparate, alcune apertamente pornografiche, alle quali il «vecchio sporcaccione» collaborava assiduamente per sbarcare il lunario
Due articoli: I POETI BEAT SONO UN GRUPPO DI MONTATI – Ma quanto ha scritto Charles Bukowski? A diciott’anni dalla sua scomparsa continuano ad apparire raccolte di inediti, soprattutto racconti e frammenti, in particolare recuperati da riviste le più disparate, alcune apertamente pornografiche, alle quali il «vecchio sporcaccione» collaborava assiduamente per sbarcare il lunario. Prendono così corpo volumi come Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze (Feltrinelli, pp. 314, euro 17, traduzione di Simona Viciani). Una quarantina di testi che coprono quasi mezzo secolo di attività letteraria e che ben si sposano con i concetti di «underground» e «controcultura » con i quali lo scrittore americano (ma nato in Germania, ad Andernach, nel 1920) viene ormai unanimemente associato. Tre anni prima di Nabokov Per la verità i primi racconti, del 1946-47, sono di genere più tradizionale, non fanno ancora parte di quello che David Stephen Colonne nell’introduzione chiama «il filone trasgressivo a sfondo sessuale». Un filone che farà poi la fortuna di Bukowski e del suo alter ego letterario Henry “Hank” Chinaski. Il primo racconto del genere è pubblicato sulla rivista Harlequin nel 1957, ma il lavoro era stato proposto ad altre riviste già fin dal 1952. S’intitola «La storia dello stupratore» e anticipa di tre anni il tema di Lolita di Vladimir Nabokov. L’argomento delle violenze inflitte su minori e anche su animali, che ispira il suo breve saggio, mai pubblicato (trovato negli archivi della University of California a Santa Barbara), Ah, emancipazione, libertà, gigli sulla luna, scritto nel 1971, quando lo scrittore aveva abbandonato l’impiego alle poste per dedicarsi completamente alla scrittura, risente del suo rapporto infantile con un padre violento. Ci sono poi pagine saggistiche, in particolare un brano intitolato «Manifesto: richiamo per i nostri critici», del 1957, che rivela lo spirito fieramente antiaccademico dell’autore. È in pratica una parodia del linguaggio della critica letteraria (cosa che Bukowski si divertirà a fare spesso) e si appoggia a un incipit volutamente contorto: «La rivolta della critica nei confronti di una nosologia sulle poetiche fino a un’asserzione ipercritica da parte di certi gruppi universitari che dettano le leggi della poesia...». Ma si dirige poi verso affermazioni assai più pratiche: «È difficile per un poeta sfidare l’intera cricca universitaria da solo. Forse anche noi dobbiamo inventare la nostra storia e scegliere i nostri dèi se vogliamo che la nostra parte di Letteratura americana venga presa in considerazione in futuro». È curioso poi come in «Esaminando i miei pari», un elzeviro del 1964, lo scrittore sembri prendersela con i poeti della Beat Generation ai quali, come vedremo, dovrà pur qualcosa: «Il circolo Ginsberg-Corso-Burroughs è stato inghiottito dalla grossa balena dell’adulazione e non si è mai ripreso del tutto». I rapporti tra Bukowski e gli scrittori beat saranno invece costruttivi quando, nel settembre del 1972, Lawrence Ferlinghetti sponsorizzerà il primo reading di Bukowski al City Lights Poets’ Theater di San Francisco. Mentre il nostro descrive con affetto Gregory Corso nel racconto «Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze» che dà il titolo a questa antologia in italiano, mentre l’originale è «Absence of the Hero», ovvero «L’assenza dell’eroe», un altro racconto, molto sperimentale e leggermente allucinato, risalente al 1969. Inquietante cannibalismo Per il resto, a parte diversi episodi tratti dal «Taccuino di un vecchio sporcaccione», rubrica tenuta negli anni da Bukowski, la triade alcol, sesso e poesia è presente in misura massiccia, magari mescolata con il cannibalismo, nell’inquietante «Cristo con salsa barbecue» (1970). È un dato di fatto che molti di questi racconti finissero su riviste solo per adulti, il che spiega l’insistenza sul versante pornografico. Ma questo è Bukowski. Lo dice lui stesso: nei suoi testi si ritrovano «le sfuriate, le parti letterarie, quelle non letterarie, il sesso, il non sesso, tutto l’intero pacchetto di urla indecorose e di esperienze autentiche». Chi lo conosce, già lo sa. Chi non lo conosce, farebbe forse meglio, per un primo approccio, a scegliere un libro diverso da questo. Paolo Bianchi *** NERI E GAY CATTIVI CI SONO E NE SCRIVO ALLA FACCIA DEI CACCIATORI DI STREGHE – Nel 1985 la Biblioteca di Nijmegen decise di rimuovere il libro di Charles Bukowski Storie di ordinaria folliadagli scaffali perché considerato «sadico, a volte fascista e discriminatorio nei confronti di alcuni gruppi» (tra cui gli omosessuali). Nelle settimane seguenti, un giornalista locale, Hans van den Broek, scrisse a Bukowski chieden - dogli la sua opinione. La risposta di Bukowski non tardò ad arrivare. Satisfiction la pubblica (per la prima volta in Italia) nella traduzione di Nicola Manuppelli. Caro Hans van den Broek, Ti ringrazio per la tua lettera che mi informa che uno dei miei libri è stato rimosso dalla NijmegenLibrary. È accusato di discriminazione contro i neri, gli omosessuali e le donne. E che io tratterei di «sadismo» per il semplice gusto di essere sadici. La cosa che io temo di discriminare sono l’umorismo e la verità. Se scrivo male di neri, omosessuali e donne è dovuto a com’erano quelli che ho incontrato. Ci sono molti «pessimi esempi» in giro – cani cattivi, censura cattiva, anche «cattivi» maschi bianchi. Solo che quando si scrive di «cattivi» maschi bianchi nessuno si lamenta. Devo forse scrivere che ci sono neri «buoni», omosessuali «buoni» e donne «buone»? Nel mio lavoro di scrittore mi limito a fotografare a parole ciò che vedo. Se scrivo di «sadismo» è perché esiste, non l’ho inventato io, e se parlo di qualche azione terribile è perché queste cose succedono realmente. Non significa che sono dalla parte del male, se una cosa come il male esiste. Quando scrivo non sempre sono d’accordo con ciò che accade, e non mi vado a ficcare nel fango solo per il gusto di farlo. Inoltre, è curioso che le persone che inveiscono contro il mio lavoro sembrino trascurare quelle parti che parlano di gioia e amore e speranza. E tali parti esistono. Le mie giornate, i miei anni, la mia vita hanno visto alti e bassi, luci e tenebre. Se scrivessi solo e continuamente di «luce» e non menzionassi mai il resto, come artista sarei un bugiardo. La censura è lo strumento di coloro che hanno la necessità di nascondere la realtà a se stessi e agli altri. La loro paura è solo l’incapacità che hanno di affrontare ciò che è reale, e non riesco ad arrabbiarmi con loro. Sento solo questa tristezza spaventosa. Da qualche parte, nella loro educazione, sono stati schermati contro la totalità dei fatti della nostra esistenza. È stato loro insegnato a guardare in un solo modo quando ne esistono molti altri. Non mi stupisce che uno dei miei libri sia stato preso e rimosso dagli scaffali di una biblioteca locale. In un certo senso, sono onorato di aver scritto qualcosa che ha risvegliato questa gente dalla sua imponderabile profondità. Ma sto male quando il libro di qualcun altro viene censurato, perché quel libro di solito è un gran libro,di quelli che ne esistono pochi, e nel corso dei secoli è questo il tipo di libro che è spesso diventato un classico, e ciò che si pensava scioccante e immorale è diventato una lettura obbligatoria in molte delle nostre università. Non sto dicendo che il mio libro appartenga a quest’ultima categoria, ma sto dicendo che di questi tempi, in questo momento in cui ogni momento potrebbe essere l’ultimo per molti di noi, è dannatamente irritante e incredibilmente triste che abbiamo ancora tra noi gente tanto mediocre e amareggiata, cacciatori di streghe e persone che declamano contro la realtà. Eppure, anche questi fanno parte di noi, sono parte del tutto, e se non ho scritto cose su di loro, dovrei forse farlo. Magari qui. E ora basta. Charles Bukowski