Carlo Formenti, Corriere della Sera 04/05/2012, 4 maggio 2012
E ORA LE REGOLE DI FACEBOOK FINISCONO ANCHE NEI CONTRATTI MATRIMONIALI
Le comunità virtuali degli anni Novanta avevano elaborato un set di regole di comportamento — la netiquette — per gestire i conflitti associati alle nuove modalità di relazione sociale generate dal computer. Con l’avvento dei social network quelle regole, anche perché ormai la maggioranza degli utenti ne ignora l’esistenza, non bastano più a scongiurare equivoci, incidenti e controversie di ogni tipo. Così, mentre i tedeschi si dividono sulla liceità del comportamento della loro campionessa di salto in alto, Ariane Friedrich, che ha «messo alla gogna» un molestatore pubblicandone i dati personali su Facebook, il direttore del Pew Research Center for Internet and American Life Project, Lee Rainie, ha rivelato che negli Stati Uniti aumentano le liti fra coniugi e conviventi provocate da quanto uno dei membri della coppia ha pubblicato, all’insaputa dell’altro, su qualche social network.
Gli oggetti del contendere sono disparati: dalle foto che colgono lui/lei in un atteggiamento imbarazzante o ridicolo (come il marito che ha postato una foto della moglie col volto impiastricciato da una crema di bellezza, gli occhi chiusi e la bocca aperta), alle delazioni su certi piccoli vizi (come una cantante che aveva preso l’abitudine di annunciare su Twitter i frequenti pisolini del compagno). In generale, la vittima scopre quanto è successo solo attraverso i commenti di qualche amico comune, e spesso ne seguono liti furibonde e tassativi divieti a pubblicare qualsiasi cosa senza il consenso dell’interessato. C’è chi ipotizza che simili interdizioni possano divenire oggetto di patti prematrimoniali, oltre ad essere eventualmente utilizzati nelle cause di divorzio.
Che ciò avvenga o meno, resta il dato impressionante sulla misura in cui le nuove tecnologie stanno incidendo su ogni aspetto della nostra vita quotidiana, ivi compresa la sfera affettiva, al punto che il rispetto di certe vecchie regole di buon senso relative al rispetto dell’intimità del partner rischia di dover essere garantito dai tribunali, o dalle autorità per la protezione dei dati personali.
Carlo Formenti