Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 04/05/2012, 4 maggio 2012
E IL «DOTTOR TROTA» SMANTELLO’ ANNI DI PROPAGANDA LEGHISTA
«Doctor Trota, I presume». Vai a sapere cosa aveva in testa, Renzo Bossi, per sentire il bisogno di esser chiamato dottore a costo di comprarsi una laurea a Tirana. Gli esami di tre anni in pochi mesi. Altro che il Cepu... Con voti d’eccellenza in statistica, matematica e contabilità finanziaria. Wow! Senza avere mai preso la maturità. Ma non aveva altri posti dove andare a prendersi ’sta laurea?
Taroccata per taroccata, poteva acquistarla in Mongolia o in Paraguay, in Kamchatka o in Lituania o in mille altri posti del mondo. Meno che lì, in Albania. Perché per almeno un paio di decenni, prima che gli italiani si accorgessero che la capacità di quegli immigrati di inserirsi era superiore a quella di tanti altri, com’era accaduto secoli fa a quelle che oggi sono le minoranze arbëreshë in Calabria e in Sicilia (anche Francesco Crispi era arbëreshë), gli albanesi sono stati additati da Umberto Bossi e dai leghisti come il simbolo stesso dell’immigrato lurido, ignorante, cattivo.
Gli archivi traboccano, letteralmente, di sparate contro gli immigrati che si affacciarono minacciosi per la prima volta sulle nostre coste, nel porto di Bari, dopo la morte del dittatore comunista Enver Hoxha, con la nave Vlora, stracarica di 20.000 persone, l’8 agosto 1991. «Un voto in più a Formentini / un albanese in meno a Milano», disse Mimmo Pagliarini lanciando lo slogan che avrebbe dominato la campagna elettorale del primo sindaco leghista del capoluogo lombardo. «Non solo nella nostra Milano non arriverà nessun albanese, ma cacceremo dalla città tutti i clandestini già presenti», prometteva agli elettori lo stesso Marco Formentini.
E via così. La giunta monocolore leghista di Acqui Terme guidata dal sindaco Bernardino Bosio arrivò a deliberare una taglia: «Si propone di dare mandato al sindaco della città di Acqui Terme per attivare una procedura amministrativa finalizzata a individuare la possibilità di rimborso spese in base alle disponibilità di bilancio di lire un milione a coloro che saranno in grado di identificare albanesi clandestini e di provvedere al loro immediato rimpatrio». Roberto Calderoli, plaudì: «L’Italia è stata ridotta a una riserva albanese». E incitò: «Bisogna presentare in tutti i Consigli comunali lombardi la stessa mozione approvata da quello di Acqui Terme». Di più, arrivò a teorizzare che «si deve sparare sugli scafisti, una volta che abbiano lasciato il loro carico. Sparare per affondarli, così non ci sarà nemmeno il problema di cosa fare delle imbarcazioni. Usando cannoni o colubrine, non importa: ciò che importa è restituire l’Adriatico alla civiltà».
E via via, anche per colpa di una minoranza di albanesi protagonisti di alcuni episodi violenti che colpirono la pubblica opinione, si creò un clima tale che a un certo punto, dopo le cure prestate a degli albanesi rimasti feriti, arrivarono all’ospedale di Torino telefonate di cui oggi, probabilmente, gli autori si vergognano: «Avete fatto male a curarli, meglio sparargli». «Mio marito ha un tumore al polmone e voi salvate gli albanesi». A un certo punto, nella bacheca di un’azienda di Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, fu affisso un volantino: «Si comunica l’apertura della caccia per la seguente selvaggina migratoria: rumeni, albanesi, kosovari, zingari, talebani, afgani ed extracomunitari in genere. È consentito l’uso di fucili, carabine e pistole di grosso calibro. Si consiglia l’abbattimento di capi giovani per estinguere più rapidamente le razze...». E come dimenticare le manifestazioni di protesta dopo il delitto di Novi Ligure che in realtà era stato compiuto da Erika e dal fidanzatino Omar? L’eurodeputato Mario Borghezio dichiarò: «È diffusa opinione a Novi Ligure che questo delitto sia da collegarsi alla presenza in zona di bande di delinquenti albanesi e/o slavi». E presentò un’interrogazione al ministro dell’Interno dove chiedeva di «individuare e sradicare dalla zona le bande criminali di extracomunitari clandestini, che attualmente vi spadroneggiano pressoché indisturbati». Non mancò, accanto ad episodi osceni come l’affissione dei manifesti con su scritto «Albanesi/tutti appesi», qualche tocco di involontario umorismo. Come quando a Capriolo la signora Maria Angiola Assoni, per proteggere l’amante camionista che sorpreso dal marito aveva cercato di ammazzare l’uomo con la prima arma che aveva trovato, un pelapatate, denunciò ai carabinieri di essere stata assalita da albanesi.
Il rapporto dei militari dell’arma resta indimenticabile: «Svegliata da un rumore, la Assoni si era trovata di fronte un uomo, il quale le aveva detto con voce non scorrevole tipica di una persona che non parla bene l’italiano... "tu giri dietro e io non toccare bambino" al che, avendo compreso le intenzioni dell’uomo, aveva assunto la posizione voluta dall’aggressore, il quale l’aveva così...». Al processo, il giudice le chiese: «Scusi, signora, perché si inventò tutto?» E lei: «Presidente, si sa che gli albanesi fanno ’ste cose...».
Decenni e decenni di stereotipi pazientemente costruiti ed ecco la laurea albanese del Bossi Junior. Ahi ahi ahi, dottor Trota...
Gian Antonio Stella