FABIO MARTINI, La Stampa 4/5/2012, 4 maggio 2012
Il lungo viale del tramonto dell’eterno “Divo Giulio” - Da qualche tempo, la vita del vecchio Giulio era molto cambiata
Il lungo viale del tramonto dell’eterno “Divo Giulio” - Da qualche tempo, la vita del vecchio Giulio era molto cambiata. A cominciare dalle sue mitiche albe. Per via degli acciacchi e di una certa difficoltà a camminare, il senatore a vita aveva diradato, fino a cancellarlo, il quotidiano appuntamento con la messa delle 7 nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, a due passi da casa. Una forma di devozione, quell’appuntamento mattutino, che nel corso del tempo, aveva alimentato l’anedottica, culminata in un delizioso sketch: all’alba di 23 anni fa, Andreotti svegliò il cronista del Messaggero che si era addormentato e gli disse: «Ma che fa, Stanganelli? Si è messo a dormire? Sotto le armi è violata consegna. Venga con me...». All’età di 93 anni, la vita di Giulio Andreotti è diventata molto diversa da quella che conduceva ancora pochissimi anni fa: un’esistenza più faticosa, più amara, più solitaria. Ma non al punto di portarlo nell’aldilà. Ieri, su Wikipedia, l’hanno dato per morto ma non è la prima volta che i mezzi di informazione lo “spingono” oltre il lecito. Ogni tanto nel sistema mediatico si diffonde una frottola impazzita - Andreotti sta per morire - e ogni volta la fola si spegne da sola, per manifesta infondatezza. L’ultima volta era capitato nell’autunno del 2011 e in quella occasione era stato lui stesso a far diffondere un comunicato: «Mi giungono voci insistenti di un mio ricovero per aggravamento di salute, capisco che molti attendono un mio passaggio a “miglior vita” ma io non ho... fretta». A chi si riferiva Andreotti? Chi lo voleva morto? Con chi a v e v a “ingaggiato” una inconfessabile competizione a chi avesse “mollato” per primo? Prima di lui erano morti alcuni dei suoi avversari politici - Craxi, Moro, Fanfani, Cossiga. In vita era rimasto, tra gli altri, Oscar Luigi Scalfaro, ma nulla autorizzò a pensare che si riferisse proprio a lui. Certo, verso la morte Andreotti non ha mai avuto un rapporto di serena, cattolica accettazione. E’ stato lui stesso a confessarlo, tanti anni fa al giornalista del Giorno Domenico Campana: «Dopo l’uccisione di Moro ho cominciato a meditare molto di più sulla morte, verso la quale ho un impulso di grande paura, di grande rifiuto». Pensieri che devono aver attraversato la sua mente negli ultimi tempi, come capita a chiunque abbia la sua età. Anche perché da qualche anno la vita del vecchio Giulio è cambiata. Nella sua casa di corso Vittorio Emanuele, a due passi del Tevere, a cinquecento metri dal Vaticano, ad accudire lui e la moglie Livia ci sono due coniugi filippini e in casa Andreotti le giornate non hanno più inizio all’alba, ma attorno alle 7. Il senatore a vita, quando si sente, chiede di poter andare nel suo studio a palazzo Giustiniani, dove attorno alle 9,30 lo accompagnano due carabinieri e dove trova Patrizia, una quarantenne romana che è diventata la segretaria della sua vecchiaia. Negli anni ruggenti regnava la mitica signora Enea, che in pantofole e facendo la calza, selezionava i “clienti” del capo con battute in romanesco. Nel 1996 Patrizia ha conquistato Andreotti, battendo a macchina un discorso senza sbavature e con impaginazione impeccabile, da allora è diventata la sua unica segretaria e si occupa di tutte le incombenze, dall’ordinare l’adorato cappuccino al bar, fino a rispondere al telefono. Ieri, appena si è diffusa la voce del malore di Andreotti, è stata Patrizia a rispondere alle tante telefonate dei vecchi amici, che si sono rifatti vivi. Ma negli ultimi tempi era diventato difficile telefonare e parlare col vecchio Giulio. Erano pochi quelli che si facevano vivi, Gianni Letta, il cardinale Tarcisio Bertone, Pier Ferdinando Casini, Clemente Mastella, Francesco D’Onofrio, Giulio Tremonti, un affezionato ex assessore capitolino come Corrado Bernardo. Ieri sera, quando dal Gemelli sono arrivate notizie rassicuranti, ad un vecchio amico è tornato in mente un aneddoto che una volta Andreotti raccontò ad Enzo Biagi: «Andai in Vaticano per un funerale e un cerimoniere si scusò con me perché, anziché nella poltrona di sinistra, avrei dovuto sedermi in quella di destra. E io gli risposi di tranquillizzarsi: l’importante è non finire al centro, sul catafalco...».