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 2012  maggio 04 Venerdì calendario

La Polonia non conosce recessione – Mentre l’Europa, tranne la Germania, arranca e paesi come l’Italia e la Spagna sono in piena recessione, il caso polacco continua a rimanere sotto i riflettori

La Polonia non conosce recessione – Mentre l’Europa, tranne la Germania, arranca e paesi come l’Italia e la Spagna sono in piena recessione, il caso polacco continua a rimanere sotto i riflettori. Il paese vedrà quest’anno il pil salire del 2,7%, anche se in rallentamento rispetto al +4,3% messo a segno nel 2011. La tendenza è favorevole e ad accorgersene è stata anche la Cina, che vuole raddoppiare gli scambi commerciali con Varsavia entro cinque anni e fare del paese una porta d’ingresso sull’intera regione. In molti si domandano quale sia la ricetta di tale successo. L’economia è diversificata e la crescita, prima ancora che dall’export, è trainata dai consumi interni che rimangono su buoni livelli, appoggiandosi su 38 milioni di cittadini. I fondi Ue alimentano la realizzazione di grandi opere: strade, ferrovie, stadi. Tutto quanto in vista degli Europei di calcio che si terranno il mese prossimo. Un ruolo centrale è giocato dalla valuta locale, lo zloty, che viene lasciato fluttuare a seconda delle necessità e che permette ai prodotti polacchi di essere competitivi sui mercati internazionali. Non far parte dell’euro, soprattutto in un momento come quello attuale, è un vantaggio. Il segretario di stato all’economia, Ilona Antoniszyn-Klik, non fa mistero che oggi la moneta unica non rappresenta più un fattore di stabilità. Non che la Polonia non ambisca ad abbracciarla, ma non c’è alcuna fretta. Pare, dunque, che il quadro sia idilliaco. Non tutti, in realtà, la pensano così. Secondo Leszek Balcerowicz, ministro delle finanze negli anni 1990, il paese va meglio degli altri, ma questo non mette al riparo dal futuro. Non bisogna montarsi la testa, è in sostanza il suo ragionamento: i finanziamenti comunitari non possono sostituire le riforme interne e il rapporto deficit-pil, pari al 5,3%, comincia a preoccupare. Poi c’è il problema del dopo 2020, quando la Polonia non riceverà più i massicci aiuti da Bruxelles e dovrà camminare con le proprie gambe. Qualcuno ritiene che i polacchi siano gran lavoratori, intraprendenti e ambiziosi, ma che la loro economia non sia innovativa e si limiti a importare i modelli americani ed europei. Infine, due questioni si affacceranno presto all’orizzonte. La prima riguarda l’emigrazione: circa 1,9 milioni di cittadini hanno varcato le frontiere a partire dal 2004, anno di ingresso nell’Unione. L’altro fattore critico è quello del tasso di natalità. Si fanno meno figli: negli ultimi vent’anni il loro numero per donna è quasi dimezzato e ora è pari a 1,3. Se le cose andassero avanti così, entro il 2030, secondo le statistiche, la popolazione scenderebbe sotto i 30 milioni di abitanti. Un guaio anche per le casse statali, che, con il progressivo invecchiamento della gente, dovranno alleggerirsi di più per le pensioni. Adesso, tuttavia, il paese si gode questo momento di gloria e l’ottimismo prevale.