Massimo Gaggi, Corriere della Sera 4/5/2012, 4 maggio 2012
Gara tra super ricchi per l’Urlo di Munch comprato a 120 milioni – Fuori dalla sede di cristallo di Sotheby’s, vera cattedrale dell’opulenza, un pugno di contestatori — sindacalisti e ragazzi di «Occupy Wall Street» — ingabbiati fra le transenne: non devono ostacolare l’accesso di chi va a offrire milioni per portarsi a casa un quadro celebre, né intralciare la fila di Bentley, Maybach e Mercedes 600 che si fermano lì, lungo York Avenue
Gara tra super ricchi per l’Urlo di Munch comprato a 120 milioni – Fuori dalla sede di cristallo di Sotheby’s, vera cattedrale dell’opulenza, un pugno di contestatori — sindacalisti e ragazzi di «Occupy Wall Street» — ingabbiati fra le transenne: non devono ostacolare l’accesso di chi va a offrire milioni per portarsi a casa un quadro celebre, né intralciare la fila di Bentley, Maybach e Mercedes 600 che si fermano lì, lungo York Avenue. Dentro un migliaio di potenziali clienti sorseggia champagne. Grande eleganza: potremmo essere nel «foyer» di un teatro lirico, non fosse per quelle grosse palette di plastica che molti tengono sottobraccio, con su il numero che li identificherà durante l’asta. È mercoledì sera e un concentrato di super-ricchi (e loro rappresentanti) è pronto a darsi battaglia per mettere le mani su un disegno di Picasso, una tela di Mirò, una scultura di Giacometti. Ma l’eccitazione che si respira nell’aria la genera l’«Urlo»: il dipinto di Edvard Munch che tra pochi minuti potrebbe diventare l’opera d’arte più pagata al mondo in un’asta. Si parte e dal palco Tobias Meyer comincia la sua danza fatta di movimenti flessuosi. Si allunga a destra e a sinistra indicando i protagonisti dei rilanci, incoraggiando gli acquirenti, sfidandoli. La «Femme assise dans un fauteuil» di Picasso, venduta a 26 milioni di dollari, serve a scaldare l’atmosfera. Poi, dopo una raffica di Gauguin, Matisse, Léger e Toulouse-Lautrec, tocca all’«Urlo». Il gran cerimoniere parte da 40 milioni di dollari, ma il prezzo schizza subito a 70 milioni. Poi la gara si restringe a due soli compratori che — non volendo esporsi — si fanno rappresentare da due funzionari della stessa Sotheby’s, Stephane Connery e Charles Moffet. È guerra di trincea, con gli ordini dati via telefono. Dopo i 90 milioni arriva un lungo silenzio che Tobias spezza rassicurando una platea che trattiene il fiato: «Tranquilli, ho tutto il tempo del mondo». Alla fine, dopo essersi sbracciato per 12 minuti, il battitore assegna il quadro al cliente di Moffet: «Charlie, è tuo per 107 milioni». Che diventano quasi 120 (ossia più di 91 milioni di euro) con i diritti d’asta. Mentre in platea scatta l’applauso per il nuovo record mondiale (fin qui era del «Nudo, foglie verdi e busto» di Picasso venduto un anno fa in un’asta di Christie’s per 106 milioni), comincia la caccia al compratore. I nomi già da giorni sulla bocca di tutti sono quelli dei «soliti sospetti»: la famiglia reale del Qatar che ha già un Cezanne («I giocatori di carte») acquistato privatamente e pagato addirittura 250 milioni, ma anche alcuni miliardari russi come Roman Abramovich (i bookmakers inglesi della Ladbrokes l’altro davano 5 a 2 l’acquisto da parte di un magnate venuto da Mosca, mentre il compratore americano era dato 4 a 1). Poco seguita la pista cinese, mentre prende quota quella Usa, visto che Moffet, in genere, segue la clientela locale: nei giorni scorsi si era parlato di due ricchi musei del Texas e della California, ma i loro rappresentanti all’asta non c’erano e un museo non avrebbe bisogno di tanta segretezza. Va per la maggiore il nome del cofondatore di Microsoft, Paul Allen, noto collezionista. Si scorrono febbrilmente gli elenchi dei miliardari: Ron Lauder, figlio di Estée Lauder, fondatrice del gigante della cosmetica, ha già speso più di 100 milioni per un Klimt. Ma in passato non ha mai mostrato interesse per altre opere di Munch messe all’asta. Forse Steve Wynn, il re dei casinò di Las Vegas. Macché è appena uscito a pezzi da un divorzio che gli è costato 741 milioni. Nemmeno Valentina Castellani, direttrice di Gagosian, la più grande galleria d’arte d’America, azzarda ipotesi sul compratore, pur conoscendo bene gli uomini di Sotheby’s e molti potenziali clienti come la figlia dell’emiro del Qatar, Al Mayassa: «Questo delle opere d’arte iconiche, riconoscibili quanto la Gioconda, è ormai una nicchia globale sempre più richiesta e sempre più ricca. Sono dipinti-trofeo che attirano moltissimo. Anche molti nuovi miliardari cinesi. Ci sono tante possibilità. E Sotheby’s si terrà ben stretto il segreto». Per adesso le scommesse restano in sospeso. Festeggia solo Petter Olsen, il norvegese figlio di un amico di Munch che, dopo essersi goduto per anni il quadro-simbolo delle angosce del Ventesimo secolo, ha deciso di venderlo. Trasformando questa rappresentazione della sofferenza dell’era moderna (l’unico dei quattro dipinti della serie «Scream» che non sia in un museo) nel trofeo più ambito di una gioiosa gara tra (presunti) «nouveau riche». Massimo Gaggi