Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 4/5/2012, 4 maggio 2012
SVIZZERA, I DUBBI DEL GOVERNO SULL’ACCORDO
L’accordo per tassare i capitali degli evasori in Svizzera, l’ha detto Mario Monti, dipende dalla tregua sui frontalieri: il Canton Ticino ha sospeso unilateralmente il trattato che prevede di trasferire risorse ai Comuni di frontiera i cui cittadini lavorano e pagano le tasse in Svizzera ma consumano servizi pubblici italiani. Per il solo 2010 si tratterebbe di 28 milioni di franchi, circa 23 milioni di euro, che sono rimasti in Ticino invece di arrivare nelle casse di Comuni italiani. Proprio per le tensioni sui frontalieri il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha annullato (o almeno rinviato) una visita di Stato in Svizzera.
MA NON È QUESTA l’unica ragione di prudenza del governo di Roma sull’accordo fiscale che permetterebbe di recuperare almeno una parte di quei 120-150 miliardi esportati illegalmente in Svizzera da contribuenti italiani. L’Agenzia delle entrate, secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, da mesi vaglia con attenzione pro e contro di un accordo fatto sul modello di quelli approvati da Germania e Gran Bretagna (un forte prelievo una tantum, tra il 30 e il 40 per cento che sana il pregresso, poi un’aliquota annuale sopra il 26 per cento per i rendimenti, in cambio gli evasori e la Svizzera restano protetti dal segreto bancario).
L’Agenzia delle entrate è preoccupata perché la Convenzione – anche se con aliquote di imposta analoghe a quelle italiane, quindi non di favore – si presenti come una sanatoria. E questo, secondo il Fisco, rischia di avere un impatto mediatico negativo perché apparirebbe proprio come un condono, anche se molto oneroso. Infatti la Svizzera agirebbe da sostituto di imposta ma l’anonimato del contribuente sarebbe garantito non solo per i rapporti pregressi, quelli sanati dal prelievo una tantum, ma pure per il futuro. E comunque, notano i funzionari che rispondono ad Attilio Befera, non è bello trattare con un paradiso fiscale che sta ancora nella black list. Tra le preoccupazioni dell’Agenzia delle entrate ce ne anche una molto concreta: sul gettito c’è una grande incertezza, perché il fatto che Berna agisca come sostituto di imposta è comodo, tutti i costi burocratici sarebbero a carico degli svizzeri, ma il perdurare del segreto bancario comporta che l’Italia non è in grado di sapere se gli svizzeri dicono tutta la verità. Per questo l’Agenzia prevede due strumenti di tutela: il primo è un meccanismo aggiuntivo di salvaguardia di scambio di informazioni, nel caso gli ispettori del Fisco, durante un’indagine scoprano una transazione con la Svizzera. Tradotto: se gli ispettori o la magistratura italiana hanno fondate ragioni per sospettare che un italiano abbia un conto in Svizzera, Berna dovrebbe dimostrare che quel conto paga le tasse – tramite il governo elvetico – o sono guai. Insomma, gli strumenti per capire se la Svizzera non collabora ci sarebbero. La vera garanzia però è l’acconto, pagato subito da Berna, prima di raccogliere direttamente dai conti (e solo da quelli, le cassette di sicurezza sarebbero al riparo) le imposte previste dall’eventuale accordo. In attesa della gallina domani, l’uovo sarebbe certo. Ma piccolo: 1-2 miliardi su 150 depositati nei forzieri di Ginevra e Lugano.
CI SONO delle precauzioni ulteriori che l’Italia può adottare e su cui i tecnici del governo stanno ragionando, soprattutto per limitare lo spettro della sanatoria ed evitare che l’operazione diventi un gran regalo ai criminali: il prelievo una tantum non dovrebbe sanare i cosiddetti “reati mezzo” commessi per esportare i capitali, tipo appropriazione indebita e falso in bilancio. E dovrebbero essere perseguibili anche i “reati fine”, commessi utilizzando i soldi, tipo evasione, riciclaggio e corruzione.
Il problema più serio è un altro: risalire ai beneficiari ultimi dei conti o degli strumenti di investimento è complesso, senza meccanismi che garantiscano di superare gli schermi giuridici si rischia che il gettito sia quasi zero, come è successo in questi anni in cui era in vigore una direttiva europea non troppo dissimile dagli accordi di Germania e Gran Bretagna. Ma qualunque scelta faccia il governo Monti deve fare in fretta o rischia di trovare i forzieri vuoti. Con i capitali emigrati nelle filiali asiatiche delle grandi banche svizzere.