Il Sole 24 Ore 4/5/2012, 4 maggio 2012
I POSTINI, O LA MISSIONE SUBLIME DEL CONSEGNARE LETTERE - [...]
Per lui consegnare le lettere poteva diventare una sorta di missione, e Soffici lo osservava ammirato salire «arrampicandosi come un gatto fra i massi e gli sterpi neri». Malaparte era talmente legato al postino di Montepulciano, un abile clarinettista della banda del paese, da trasformarlo nel trascrittore delle musiche che fischiettava davanti a lui.
I telegrammi erano carichi di aspettative e di timori. «Scegliete frasi semplici, quotidiane, brevi: troveranno il loro fascino nel fatto stesso di esser trasmesse così velocemente». ammoniva Irene Brin. I seduttori come D’Annunzio, approfittavano della perentorietà che ne emanava. Nello stesso giorno fece portare al telegrafo quattro telegrammi per altrettante signore. Normale: «Sono arrivato oggi e preparo una stanza per te. Il tempo è delizioso. Arrivederci Gabri». Sentimentale: «La melodia delle maree culla i miei rimpianti. Tutto è lontano e tutto è vicino. Arrivederci. L’esiliato». Sbrigativo: «Penso a te ogni istante. Ariel». Consolatorio: «Penso a te come al bronzo più ricco per le mie statue future. Non essere triste. Arrivederci. Arrivederci».
Sedotto dalla velocità del mezzo, Marinetti tempestava Palazzeschi indisposto: «Ti aspetto comunque vieni anche se un po’ ammalato. Sei aspettatissimo desideratissimo, vieni. Ti prego affettuosamente». Per poi incalzarlo: «Vieni assolutamente, abbiamo bisogno di te, ti aspettiamo».
Calvino aveva rifiutato con un telegramma il Premio Viareggio: «Ritenendo definitivamente conclusa epoca premi letterari rinuncio al premio perché non mi sento di continuare ad avallare con il mio consenso istituzioni ormai svuotate di significato». In perfetta antitesi con Domenico Rea, che mandava per raccomandata la sua scheda all’autore da lui scelto per il Premio Strega.
Quando Gide, emblema dell’omosessualità culturale, morì, un burlone mandò al cattolico Mauriac, che aveva represso le sue analoghe inclinazioni, un telegramma che fece ridere tutta Parigi: «L’inferno non esiste STOP Puoi divertirti STOP avverti Claudel». Firmato: André Gide. Giuseppe Scaraffia • I POSTINI ITALIANI? PUNTUALI, ECOLOGICI E ASPIRANTI SCRITTORI - Forse in pochi conoscono le gesta dei postini marinai (alle isole Tremiti c’è un portalettere che consegna la corrispondenza a bordo di un gommone alimentato da un fuoribordo di 40 cavalli); o di una portalettere scalatore che si arrampica sul monte Rosa armata di ciaspole ai piedi per raggiungere un gruppo di casette per sei mesi l’anno immerse nella neve; o, ancora, del postino-farmacista di Claut, nelle dolomiti friulane, che consegna medicinali salvavita agli anziani delle frazioni di Erto, Liron e San Martino appollaiate su una specie di nido del cuculo. Nessuno, però, aveva mai parlato dei postini scrittori, gli insospettabili Hemingway che sollecitati dal sindacato cislino hanno vergato pagine e pagine di storielle che raccontano meglio di chiunque altro come sia cambiata la vita dei portatori sani di notizie. «Ebbene sì, faccio il portalettere, o più comunemente detto postino, anzi "al pustèn", secondo il gergo dialettale delle mie parti, la bassa bolognese» scrive nel suo incipit Andrea.
Il progenitore di Andrea si può individuare in un greco antico di nome Filippide, militare e portamessaggi, che dovette percorrere 42 chilometri a piedi (e di corsa) per recapitare agli ateniesi la buona novella della vittoria a Maratona contro i persiani. Che portino buone o cattive novelle, i 46 mila postini (la metà sono donne) sciamano per l’Italia con i free Duck elettrici che s’insinuano nel traffico delle grandi città per tagliare emissioni dannose e tempi di percorrenza. Addio vespini e motorini inquinanti, e addio alle Panda a benzina, sostituita progressivamenta da quella a metano. La posta ecologicamente corretta è un portato della tecnologia. Così come i palmari, le stampanti e il Pos di cui è armato ogni postino, strumenti tecnologici fino a una ventina di anni fa relegati alla fantascienza. Se nell’era digitale l’Italia può contare ancora su tutti questi portalettere lo si deve a due manìe tipicamente nostrane: il ricorso ai telegrammi (se ne recapitano 10 milioni l’anno, il numero più alto al mondo) e le raccomandate, che da noi hanno ancora valore legale. Abitudini che spianano la strada alla domanda delle domande: fino a quando resisteranno i portalettere?
Gianpaolo Tronchin, capo dei postini in Lombardia, una sorella e il padre dipendenti delle Poste come lui, è sicuro che il suo mestiere sopravviverà al mutare dei tempi: «Abbiamo appena siglato un accordo con Amazon Italia. Toccherà a noi la consegna dei libri che i lettori acquisteranno online: una massa di lavoro enorme». Quella con Amazon sembra quasi la polizza-vita dei portalettere italici.
Agli albori del quattrocento, quando i Tasso della Val Brembana strutturarono un servizio postale degno di questo nome, nessuno avrebbe immaginato che si sarebbe passati dalle carrozze trainate dai cavalli ai piccoli veicoli elettrici. I Tasso, compatibilmente con l’epoca, ottimizzarono trasporti veloci e tempi di consegna, tanto che prima la Repubblica Serenissima di Venezia - la prima potenza mondiale fino alla scoperta dell’America nel 1492 - e poi il Papato, l’impero germanico e la Spagna affideranno loro la gestione dei servizi postali in monopolio. Un sistema che resistette fino al 1800, quando Napoleone Bonaparte lo riformò con l’obbligo della bollatura attraverso i timbri di provenienza.
Il record di velocità fu raggiunto dalle poste dell’Impero austriaco per una lettera partita da Milano il 24 Dicembre 1856 e arrivata a Lione, Regno di Francia, passando attraverso il Piemonte e il valico del Moncenisio, quindi il Regno di Sardegna, in soli 3 giorni. Quella missiva viaggiava su una carrozza trainata da cinque cavalli e senza passeggeri, come viene specificato nei regolamenti dell’epoca. Milano-Lione in tre giorni è un risultato che con ogni probabilità le Poste sono riuscite a eguagliare poco prima o a cavallo della trasformazione in Spa. La seconda metà del ’900 non è stato un periodo glorioso per le poste italiane, serbatoio di voti e di assunzioni clientelari per le decine e decine di ministri che vorticosamente si sono alternati al dicastero delle Poste e Telecomunicazioni (ora si chiama delle Comunicazioni) istituito nel 1924 da Benito Mussolini. Indimenticabili l’abruzzese Remo Gaspari e il campano Antonio Gava. Da allora quasi tutto è cambiato. Per fortuna pure le Poste. Puntuali, efficienti e silenziose come i free duck che portano in giro per l’Italia i portalettere che oltre a consegnare espistole e missive non sfigurano neppure quando prendono la penna in mano. Postini ecologici e di buona scrittura. Pure questa, a suo modo, la reinvezione di un vecchio e nobile mestiere che invece non smette di sorprenderci. Mariano Maugeri