Luca Vinciguerra, Il Sole 24 Ore 3/5/2012, 3 maggio 2012
IL DISSIDENTE CHEN ACCUSA L’AMERICA
Cina e Stati Uniti trovano un accordo in extremis su Chen Guangcheng, il dissidente cieco che venerdì scorso si era rifugiato nell’ambasciata americana di Pechino dopo una fuga rocambolesca dagli arresti domiciliari. Ma la vicenda assume presto i contorni di un caso diplomatico intricatissimo, con le dichiarazioni dello stesso Chen «deluso» dagli americani.
Ieri, a poche ore dall’inizio del Dialogo strategico ed economico (il vertice annuale tra Cina e Usa che si apre stamattina a Pechino), Chen ha lasciato la sede diplomatica Usa, volontariamente secondo la ricostruzione ufficiale, ed è stato ricoverato in un ospedale della capitale. Con una scorta di lusso: ad accompagnarlo, infatti, è stato l’ambasciatore americano Gary Locke. «Chen sta bene» ha detto nel pomeriggio uno dei medici che l’ha visitato, tranquillizzando così la famiglia dell’avvocato non vedente che, frattanto, era arrivata a Pechino. «Chen non ha chiesto asilo politico» ha dichiarato un funzionario dell’ambasciata Usa, precisando che il Governo cinese ha garantito che sarà condotto in un posto sicuro, dove potrà studiare e vedere i familiari. «Non accadranno più incidenti del genere» ha aggiunto il portavoce di Washington, mentre il segretario di Stato, Hillary Clinton, e il segretario al Tesoro, Timothy Geithner, sbarcavano a Pechino per partecipare al summit.
A poche ore da questa ricostruzione, però, il quadro si è complicato. Prima l’Associated Press ha riferito che lo stesso Chen ha rivelato di essere stato costretto ad abbandonare l’ambasciata americana perché aveva saputo da un funzionario Usa che la moglie sarebbe stata «picchiata a morte» se non si fosse consegnato. E Washington ha smentito. Più tardi, contattato telefonicamente dalla Cnn, si è detto «deluso» dagli Stati Uniti aggiungendo di voler lasciare la Cina perché teme per la sua vita.
Un pasticcio diplomatico per Washington, a cui non viene risparmiata l’ira di Pechino sulla vicenda. Subito dopo l’uscita di Chen dall’ambasciata, infatti, la Cina ha chiesto agli Stati Uniti di formulare ufficialmente le scuse per aver dato ospitalità al dissidente in fuga, denunciando i «metodi anormali» utilizzati per dargli protezione. «La Cina è molto irritata per la decisione americana di ospitare Chen perché si tratta di una grave interferenza negli affari interni cinesi. Auspichiamo, quindi, che venga aperta un’indagine sulla vicenda e che i responsabili vengano puniti» ha tuonato un portavoce del ministero degli Esteri.
«Il Governo e il popolo americano resteranno a fianco di Chen Guangcheng e della sua famiglia nei giorni, nelle settimane, e negli anni a venire - ha affermato in risposta Hillary Clinton - è essenziale che la Cina rispetti gli impegni presi con Chen».
Le parole del segretario di Stato Usa, in passato non particolarmente sensibile in materia di diritti umani («La questione non può compromettere il dialogo tra Cina e Stati Uniti» disse la Clinton nel 2009 in occasione della sua prima missione ufficiale oltre la Grande Muraglia), non sembrano certo un buon viatico per il Dialogo economico strategico che si apre oggi a Pechino.
Il caso Chen Guangcheng, infatti, andrà ad aggiungersi al già vasto e composito dossier di temi in discussione tra le due superpotenze. Tutti a dir poco spinosi: lo squilibrio commerciale Cina-Usa; il tasso di cambio dello yuan; la contraffazione e la proprietà intellettuale; il ruolo di Taiwan; le crisi in Iran, Siria e Corea del Nord; il recente attivismo politico-militare di Washington nel Mar Meridionale Cinese.