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 2012  maggio 03 Giovedì calendario

Bondi si disfece del jet di Parmalat – Amici e nemici. A Collecchio, frazione di Parma, c’è chi a Enrico Bondi farebbe un monumento per avere salvato Parmalat e chi invece storce il naso perché, alla fine, il boccone è andato in pasto ai francesi forse anche per qualche sottovalutazione gestionale, per esempio tenere in cassa 1,4 miliardi di euro, un tesoretto che poteva fare gola a qualche scaltro tycoon (com’è avvenuto)

Bondi si disfece del jet di Parmalat – Amici e nemici. A Collecchio, frazione di Parma, c’è chi a Enrico Bondi farebbe un monumento per avere salvato Parmalat e chi invece storce il naso perché, alla fine, il boccone è andato in pasto ai francesi forse anche per qualche sottovalutazione gestionale, per esempio tenere in cassa 1,4 miliardi di euro, un tesoretto che poteva fare gola a qualche scaltro tycoon (com’è avvenuto). Di fronte al municipio c’è il bar “Settimo cielo” e qui ricordano Umberto Bossi che definì Collecchio una «colonia francese» con un implicito giudizio negativo sull’operato, nell’ultima fase, di Bondi. Il leader leghista parlò di colonia anche perché un gioiello parmense, Cariparma, settimo gruppo bancario italiano, è posseduto dal Crédit agricole, che, guarda caso, ha organizzato la scalata a Parmalat della multinazionale francese Lactalis (che ne ha affidato la guida a Franco Tatò, 80 anni, due più di Bondi). Diego Savi e Claudio Lombardelli, sindacalisti e dipendenti Parmalat, lamentano che tutti parlano oggi che è supercommissario governativo di Bondi-il-risanatore e nessuno ricorda i lavoratori Parmalat: «Noi restammo in fabbrica, a lavorare, perché il marcio era fuori. In quei primi giorni post-crisi vi fu una specie di autogestione, protagonisti le organizzazioni sindacali e i manager rimasti». Insomma, dare a Cesare quel che è di Cesare e a Bondi quel che è di Bondi ma nulla più. Il bar, in un piccolo paese, è un luogo privilegiato d’ascolto. Al Settimo cielo, Giuseppe Quintavalla, ex-dipendente Parmalat ricorda quel primo Natale di Bondi in azienda: «Arrivò un’impiegata e affisse sulle porte degli uffici una lettera scritta a mano dal commissario: “Siamo ancora in piedi, ma siamo ancora all’ inizio. Forza, Coraggio e Coesione per conquistare il nostro Futuro. Con i migliori auguri a Voi ed alle Vostre Famiglie». E racconta di quando Bondi osservò stupito il parco-auto Mercedes nel cortile della direzione. Erano in uso ai dirigenti, lui si fece dare tutte le chiavi. Poi convocò l’equipaggio del jet da 45 milioni di dollari: «Riportatelo a Ginevra e rientrate in treno». Al governo, Bondi tornerà ad avere a che fare con Corrado Passera. Tra i due ci fu un braccio di ferro perché Passera era a capo di Banca Intesa (possedeva il 2 % di Parmalat), che in qualità di advisor, si era assunta l’onere di organizzare, come nel caso Alitalia, una cordata di imprenditori nostrani, capeggiata dalla famiglia Ferrero («l’interessamento del gruppo Ferrero per Parmalat», disse il Passera bancario, «potrebbe essere fondamentale») con l’obiettivo anche di emarginare Enrico Bondi, giudicato ormai ingombrante e un tappo alla distribuzione dei dividendi e per la crescita. La manovra non andò in porto ma ci fu incomunicabilità tra Bondi e Passera. Adesso dovranno metterci una pietra sopra, con l’aiuto di Mario Monti. Ci riusciranno? Proprio del ruolo di Banca Intesa gestita da Passera si è occupata la Procura di Parma. Carlo Salvatori, a quel tempo presidente di Lazard Italia, è stato chiamato infatti a spiegare il contenuto degli incontri avvenuti a gennaio 2010 con i vertici di Banca Intesa, così come riportati in un’agenda sequestrata allo stesso Salvatori.Il primo incontro con Passera avvenne il 12 gennaio. Grandi manovre sull’azienda, sul titolo e sul vertice di comando che hanno sollevato dubbi negli investigatori. Intervenne anche il vice di Berlusconi, Gianni Letta, per tentare una mediazione tra Bondi e i fondi stranieri ma neppure la riconosciuta abilità diplomatica di Letta riuscì a fare digerire Bondi, soprattutto a Zenit AB, Skagen As e Mackenzie Financial Corporation. Mentre Giulio Tremonti valutava un intervento pubblico, contro il quale si schierò il Corriere della Sera: «Perché Parmalat sì e Fiat no?», scrisse Massimo Mucchetti. «Fiat è assai più strategica di Parmalat, e come Parmalat potrebbe trasferire all’estero sede legale e quote sensibili delle sue attività materiali e immateriali. Forse perché in Parmalat c’è un manager, Enrico Bondi, e un consiglio pronti a seguire il governo ?». Un altro bancario che ha subito le ire di Bondi è stato Cesare Geronzi, per altro a quel tempo ancora in auge. Le 191 pagine dell’ordinanza del giudice di Parma che ne hanno deciso l’interdizione si avvalgono del copioso materiale messo a disposizione da Bondi: la procura ha accusato Geronzi di concorso nella bancarotta fraudolenta di sette società di Calisto Tanzi e di un’ ipotesi di usura nel caso Ciappazzi-Ciarrapico. L’imputazione-base è di aver «aggravato di tre miliardi di euro» il crac del gruppo Parmalat, ritardando di un anno «l’emersione di uno stato d’ insolvenza ormai irreversibile» per «ridurre l’ esposizione della banca a danno di migliaia di risparmiatori». L’ atto d’accusa indicato dal procuratore di Parma come decisivo è la relazione contro Capitalia depositata da Enrico Bondi, che il legale di Geronzi così definisce: «Oltre che infondata nei contenuti è sgradevole nella forma». Ma c’è pure un conto ancora aperto di Bondi coi banchieri, a proposito del San Raffaele: chiamato da Giovanni Maria Flick, da subito si è domandato dove fossero le banche che hanno elargito fondi senza limiti e senza condizionarli a una governance seria e a un’amministrazione adeguata. Ci sta ancora lavorando sopra. A Collecchio, poco più in là, in via Spezia, c’è un altro bar, il Centrale, altro luogo d’incontro. Aimo Fantuzzi in Parmalat faceva il pastorizzatore: «Era una mucca da mungere che rendeva parecchio e tutti i politici si approfittavano di Tanzi. Finché andava bene l’hanno sostenuto, dopo l’hanno buttato giù. Come hanno fatto con Gheddafi. Poi Bondi ci ha messo una toppa». Al bar Centrale veniva a prendere il caffè Giuseppe Lombardi, l’avvocato di fiducia di Enrico Bondi. Fanno tandem dal 2005, quando Bondi gli chiese di seguire l’attività contenziosa che la società aveva deciso di intraprendere contro le banche. Dopo un tentativo malriuscito di dare vita a un’alleanza professionale con Carlo Pedersoli, l’avvocato ha creato, assieme a Ugo Molinari, lo studio Lombardi Molinari e associati che oggi conta, a Milano, 20 soci e 50 collaboratori. E qui veniva Giovanni Monti, 39 anni, figlio dell’attuale premier, approdato a Collecchio nella primavera del 2009, chiamato da Enrico Bondi per ricoprire l’incarico di responsabile del «Business development», ossia dello sviluppo di nuove possibilità di mercato per il marchio. Giovanni Monti ha chiuso la sua attività in Parmalat con l’arrivo dei francesi , che hanno fatto tabula rasa degli uomini di Bondi: l’unico dirigente dell’era Bondi che resta al suo posto è Antonio Vanoli, ex manager del gruppo Ferrero, che gestisce il business nazionale. C’è poi chi ricorda di avere perorato la nomina di Bondi al posto di Galliani alla guida della Lega calcio. È l’ex-presidente del Bologna, Giuseppe Gazzoni Frascara: «La situazione del mondo del calcio è più o meno come quella della Parmalat, se il paragone serve a rendere l’idea». Mentre un deputato del centrodestra, Antonio Verro, rammenta di avere presentato addirittura un’interrogazione contro il comportamento di Bondi, restìo a fare vendere dal Parma calcio, di proprietà Parmalat, alcuni giocatori al Milan, di cui Verro è tifoso: «Mi sarebbe piaciuto che Bondi avesse usato tutte queste cautele per difendere realmente i creditori Parmalat». Bondi uomo di sinistra o di destra? Certamente sobrio, ha rinunciato alla ricca liquidazione quando è stata cacciato dalla Parmalat, uscendo dai cancelli con la sua Panda, nessuna eleganza nel vestire, sempre in abito grigio stropicciato, pochissime le interviste, mai in tv. Adesso si ritrova numero due del governo e Gasparri lo saluta così: «Non vorrei danneggiare Enrico Bondi dicendo che lo stimo, lo conosco e lo ritengo il miglior manager che ci sia in Italia». La corsa al Bondipensiero è incominciata.