Silvia Nucini, Vanity Fair 9/5/2012, 9 maggio 2012
«Presto chiamato». Nonna Antonietta aveva cominciato a salutarlo così, Gennaro, ogni volta che entrava in casa
«Presto chiamato». Nonna Antonietta aveva cominciato a salutarlo così, Gennaro, ogni volta che entrava in casa. Più che un saluto aveva l’aria di un augurio, e in pochi giorni la profezia di nonna Antonietta si realizzò: Gennaro Casafina, di anni diciotto, era stato assunto come portalettere in un ufficio postale di Torino. L’avevano chiamato, ed era successo presto, proprio come diceva lei. Mentre ricorda l’inizio di tutto, il signor Casafina si commuove. Non succederà molte altre volte mentre racconta la sua storia, e comunque mai si commuoverà parlando di sé, perché in tutta questa vicenda il dolore che fa più male è quello degli altri. Il suo non è dolore, ma qualcosa che piano piano nel racconto assume la forma, le dimensioni e la compattezza di un muro. Ciò che fa male, dice, è un cestino dell’immondizia: «Quello in cui ho buttato quarant’anni di vita». Tecnicamente Gennaro è uno dei circa 70 mila esodati, neologismo orrendo per definire tutti i lavoratori che, vicini alla pensione, hanno accettato accordi con le loro aziende per lasciare in anticipo il posto di lavoro in cambio di uno scivolo economico, cioè soldi. Ma che, in conseguenza della riforma previdenziale del ministro Fornero, hanno visto spostarsi la data del loro pensionamento in avanti. E si sono trovati in una terra di nessuno, senza stipendio e senza pensione. Meno tecnicamente, ma più realisticamente, Gennaro è, al momento, fregato senza appello: ha firmato il suo accordo con Poste Italiane il 18 ottobre 2011 – cioè prima della scadenza del 31 dicembre entro la quale il decreto Milleproroghe ha poi concesso il salvataggio – ma, nel firmare, ha scelto di lasciare il lavoro nel marzo 2012. Non ha quindi diritto a passare da esodato a «salvaguardato». In cifre: rimarrà 5 anni senza stipendio e senza pensione. In alternativa può versare contributi volontari per coprire il periodo. Stima della cifra necessaria: 50 mila euro. I numeri fanno paura, ma non raccontano abbastanza. Non dicono di una vita di lavoro «amato come si ama un’amante: togliendo la testa, il tempo e le energie a tua moglie e ai tuoi figli». Non dicono di una carriera conquistata per 39 anni un gradino alla volta, fino ad arrivare a essere direttore di un centro di recapito, a gestire 120 persone, preoccuparsi se piove e i postini sono in giro con la moto, sentirsi dire «sei stato duro, ma vorrei diventare come te, domani». Non dicono nemmeno dei sogni rimandati, di quell’immaginarsi con un tempo vuoto e libero, qualche soldo messo da parte, una vacanza a Dublino, il terzo viaggio di una vita, dopo Parigi e il Mar Rosso. Ma più di tutto i numeri non rendono nemmeno vagamente l’idea di cosa può succedere dentro, del rumore che fanno la delusione, la rabbia, l’umiliazione. Il ticchettio meccanico e angosciante di quel pensiero fisso: «Non dovevo firmare, non dovevo firmare». Gennaro Casafina non sta bene per niente, dice con pudore che ha smesso di dormire, di uscire di casa, di stare con le persone «tanto parlo sempre della stessa cosa, e lo so che le annoio». Rosa, 55 anni, sua moglie, mi dice: «Signora, non se ne abbia a male, ma fosse stato per me io questa intervista non l’avrei fatta. Sa com’è: siamo sempre stati una famiglia normale, tranquilla. Anche invidiata, in senso buono, si capisce. Due bei figli, una casa forse modesta, ma giusta per noi. Tanti sacrifici, ma ripagati: Elena si è sposata e l’abbiamo aiutata a dare l’anticipo per il mutuo di una casa. Antonio abita ancora con noi, ma si è laureato in Fisica e ha trovato lavoro vicino ad Asti: fa un bel po’ di chilometri tutti i giorni, ma si guadagna il suo stipendio. Eravamo persone normali, poi però c’è stata questa legge che ha buttato per aria le nostre vite e ha cambiato Gennaro. Ecco, io l’intervista la faccio perché così lui si sfoga e magari sta meglio». Ha paura per lui, chiedo? Elena e Rosa si mettono tutte e due a piangere. Lui si intromette brusco: «Rosa, smettila». Continua: «Fino a qualche settimana fa mia moglie mi dava delle pastiglie per farmi stare un po’ più tranquillo. Però io ho smesso di prenderle. Ho affrontato tutto nella vita, affronterò anche questa, senza bisogno di niente». «La mia storia è molto semplice da raccontare, molto difficile da vivere. Ho fatto 40 anni e 13 giorni di servizio, solo qualche giorno a casa per malattia, dopo un intervento chirurgico, anni fa. Una vita di lavoro col miraggio di andare in pensione non troppo vecchio, in tempo per poter fare tutto quello che non avevo fatto prima, per poter restituire un po’ di attenzioni a mia moglie. Volevo andare a fare la spesa io e anche cucinare prima che lei tornasse dal lavoro: guardi quello scaffale, sono i ricettari che avevo comprato. Cinque giorni prima di firmare l’accordo per l’esodo è mancato mio padre. Credo che anche questo abbia influito sulla mia scelta di accettare quella proposta che già l’azienda mi aveva fatto in passato. Mio padre, operaio, aveva dedicato la sua vita al lavoro, vederlo spegnersi così, soffrendo, mi ha fatto pensare quanto prezioso fosse il tempo». Così ha accettato la proposta di accompagnamento alla pensione. «Ho ancora il biglietto dell’autobus che ho preso per andare a firmare: 18 ottobre 2011, ore 15. Avrei lavorato fino a marzo 2012: una mia scelta, per raggiungere i 40 anni di lavoro. Poi mi avrebbero dato 2.200 euro al mese per 13 mesi. Ho chiamato mia moglie: ero contento». Una serenità che è durata quanto? «Venti giorni. Un giorno sono in macchina, ascolto la radio: il governo ha votato il decreto. Ho urlato come mai nella mia vita. E poi sono diventato un’altra persona». In che senso? «Sono divorato dall’ansia, consumato da dentro. Il ministro Fornero ha detto che capisce l’ansia degli esodati, ma io penso che non sia vero, e se vuole glielo spiego io cos’è. L’ansia ti toglie le cose: prima il sorriso, poi la voglia di uscire, di conseguenza le amicizie e infine la voglia di vivere. Sa come passo il mio tempo io? In casa a sentire le notizie: magari c’è qualche novità. La mattina, appena mio figlio esce di casa, entro in camera sua e mi attacco al computer: scrivo “esodati” e vedo cosa viene fuori. Un accenno di buona notizia mi tiene su un po’, fino a quando qualcuno la descrive come una voce infondata, e allora tutto crolla. Io sono ossessionato dall’idea di aver buttato 40 anni della mia vita. E questo stato d’animo è un sentimento collettivo: quando sono stato a Roma, alla manifestazione del 13 aprile, stavano tutti più o meno come me». Con chi è arrabbiato? «Ci stanno facendo pagare i conti, a noi cittadini, di una cattiva gestione politica che ci ha portati sull’orlo del baratro, ma che cosa serve che io mi arrabbi col governo? Io ce l’ho solo con me stesso: non dovevo firmare. È solo colpa mia: non dovevo credere a niente». Esiste una soluzione alla situazione di voi esodati? «Gli esodati delle Poste Italiane sono 6.080. Di questi, poco più di 3.300 sono stati “salvaguardati”, 2.761 no, e io sono tra questi. Poste Italiane è dello Stato, che ne è socio unico. Lo Stato dovrebbe imporre a se stesso di farci rientrare a lavorare oppure ripropormi un nuovo accordo, coprendo il buco. Ma Poste Italiane ha 12 mila esuberi, dubito che ci possano fare rientrare. Io a lavorare tornerei subito». Farebbe anche qualche altro lavoro? «Certo, ma pensa che prenderebbero me, uno di 57 anni? Non c’è lavoro per i ragazzi, s’immagini se c’è per me». E invece che cosa farà? «Non posso aspettare di prendere la pensione nel 2020: mia moglie, che fa l’operaia per un’azienda di parti per auto d’epoca, guadagna mille euro al mese. Dovrò versare i 50 mila euro di contributi: la buonuscita delle Poste servirà per una parte, il resto me lo presterà mio figlio. Voleva cercarsi una casa, aveva già visto qualcosa, e invece quei soldi serviranno a suo padre. Non è paradossale? Non sarei io, a questo punto della vita, che dovrei dare una mano a lui? Ma ho dovuto chiedergli di aiutarmi. È stato umiliante. Le cose che mi bruciano di più sono i sacrifici che devono fare gli altri: i miei fratelli che devono dividersi in due il costo della badante di nostra madre perché io non potrò più contribuire con la mia parte, mia figlia Elena che fa la commessa e porta a casa mille euro al mese e che stava pensando di fare un bambino, ma invece rimanderà perché suo marito è in mobilità da tre anni e allora contava un po’ sull’aiuto nostro, mia moglie Rosa che è stanca dopo tutte quelle ore a cucire, e si meritava di trovare a casa un uomo che le alleviasse un po’ la fatica, la facesse un po’ contenta». Che cosa rimpiange di più della vita da pensionato che aveva immaginato di vivere? «Avrei voluto scrivere un libro, la storia di un uomo normale e del suo lavoro, di come si può salire partendo dal basso. L’avrei iniziato raccontando di mia nonna Antonietta, del suo augurio: presto chiamato». Mentre mi accompagna alla porta, la signora Rosa mi prega di avere la gentilezza di non calcare troppo la mano sul disagio di suo marito. Non ce n’è stato assolutamente bisogno. Mentre finisco di scrivere questo pezzo arriva la notizia che il ministro Fornero incontrerà le parti sociali il 9 maggio per discutere la questione degli esodati. Immagino Gennaro davanti al computer, che legge l’Ansa. E sta bene almeno per un po’.