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 2012  maggio 03 Giovedì calendario

Urlo record, venduto a 120 milioni di dollari – “L’Urlo” di Edvard Munch ha centrato lo storico bersaglio

Urlo record, venduto a 120 milioni di dollari – “L’Urlo” di Edvard Munch ha centrato lo storico bersaglio. Mercoledi sera a New York erano le 8 pm - le due di notte in Italia- quando la sala è scoppiata in un lungo e liberatorio applauso. Nell’attesissima asta Sotheby’s l’ultima versione in mani private (di quattro esistenti), della celebre icona munchiana, ha polverizzato il precedente record di Pablo Picasso. Fermando il martelletto del battitore Tobias Meyer a 107 milioni di dollari. Il che significa che -compresi i diritti d’asta- l’acquirente per portarsi a casa questo dipinto dovrà sborsare 119,922,500 dollari. La cifra più alta mai pagata in asta sino ad ora per un’opera d’arte. Nel maggio del 2010 un Picasso del 1932 (“Nude. Green Leaves and Bust”) era stato battuto a 106,5 milioni di dollari. Mentre sempre nel 2010, a febbraio, una grande scultura di Alberto Giacometti si era fermata a 104,3 milioni di dollari, superando due quadri ancora di Picasso. Il vecchio quinto posto (ora divenuto sesto) della classifica reale è detenuto da un Gustav Klimt venduto a 87,9 milioni di dollari. Ora distanziato di ben 32 milioni di dollari da Munch. Nuovo re assoluto del mercato, incoronato mercoledì sera. La sala d’aste era stracolma. All’approssimarsi de “L’Urlo”, posizionato al lotto numero 20 del catalogo, persino il collegamento in streaming su internet è collassato. Troppi utenti erano collegati da tutto il mondo. D’altra parte sull’esito di questa vendita erano puntati persino gli occhi dei bookmaker di Londra, che avevano raccolto migliaia di scommesse dando per vincente il superamento dei 100 milioni. La gara è durata oltre dieci minuti. Il battitore è partito da 40 milioni. In un battibaleno sono piovute offerte ovunque, dalla sala e dai telefoni, raggiungendo i 65 milioni e poi con più lentezza i 90. A 91 milioni -offerti dal funzionario di Sotheby’s Charlie, per conto di un anonimo cliente collegato al telefono- la gara si è fatta rovente. Solo dopo circa trenta secondi da un altro telefono (gestito da Stephan) è arrivata un’offerta a 91 milioni. E’ cominciata così una singolare guerra tra Charlie e Stephan che davano voce ai rispettivi clienti milionari nascosti dietro i loro collegamenti telefonici. Da 91 milioni si è arrivati a 99. All’offerta di 100 milioni la sala ha rumoreggiato. Poi, sempre con intervalli interminabili, tra un’offerta e l’altra, i due telefonisti sono saliti sino all’ultimo rilancio di 107 milioni di dollari eseguito da Charlie per conto dell’anonimo offerente. A quel punto il suo concorrente ha gettato la spugna. Tobias Meyer, rilassato, si è persino concesso due battute lontane dal suo solito stile. La prima, rivolta all’impiegato Charlie («Posso dire che ti amo?»). La seconda guardando il pubblico: «Allora… siamo arrivati a 107 milioni di dollari… c’è qualcuno che offre di più?», seguita da una risatina generale della sala. Poi, pomposamente, ha picchiato il martelletto sul banco. Segnalando immediatamente che questa aggiudicazione era storica poiché significava un acquisto per quasi 120 milioni di dollari (con l’aggiunta dei diritti). Ecco perché Meyer era felice. In dieci minuti d’orologio Sotheby’s ha incassato 13 milioni di dollari in commissioni. Solo da Munch, s’intende. Perché con i 76 lotti presentati la casa d’aste americana ha venduto opere per una montagna di milioni di dollari. Per la precisione 330,568,500 USD. Alla faccia della crisi. L’unica consolazione, per chi non ha tutti questi soldi, è che il capolavoro di Munch sia stato acquistato da un museo o da una fondazione. Con la speranza prima o poi di poterlo ammirare. Dovrebbe essere così per tutti i capolavori dell’arte. Che in fondo sono patrimonio dell’intera umanità. Paolo Manazza